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 2015  maggio 20 Mercoledì calendario

Cannes scivola sul tacco 12. Su Twitter esplode il caos quando l’edizione quotidiana di Screen racconta la disavventura di un gruppo di signore alla proiezione ufficiale di “Carol”, rispedite a casa perché indossavano scarpe basse. Partono le accuse di sessismo e mentre Emily Blunt manaccia: «Dovremmo tutte calzare le scarpe basse», Villeneuve la butta sullo scherzo: «E per solidarietà io, Benicio e Josh saliremo sul red carpet con i tacchi»

Il Festival scivola sul tacco 12. Proprio in quella che doveva essere l’edizione della definitiva riconciliazione con le donne grazie a molteplici riconoscimenti dei talenti femminili nel cinema, scoppia il caso stiletto. Un #heelgate per usare uno degli hashtag (con #cannesheel) rimbalzati al di là dell’oceano dalle prime ore del mattino su Twitter. A lanciare la bordata è l’edizione quotidiana di Screen, una delle testate seguite dai festivalieri, con un appuntito trafiletto in prima pagina sulla disavventura di un gruppo di signore alla proiezione ufficiale di Carol. Rispedite a casa perché non indossavano i tacchi. «Anche se il glamour è una parte essenziale della mistica e del divertimento di Cannes, il festival farebbe bene a ripensare la sua policy sartoriale».
Lodevolmente ma senza gran successo, il delegato del festival, Thierry Frémaux, si è affrettato a smentire, sempre su Twitter. «La voce secondo cui il Festival esige i tacchi alti sul tappeto rosso è infondata». E, ancora, rispondendo all’editorialista del Times Kate Miur, ricorda il dress code richiesto sulla celebre scalinata: «Smoking, abito da sera, nessun riferimento ai tacchi». Troppo tardi. Sui social rimbalzano numerose testimonianze di donne bloccate da addetti zelanti, più feroci dei buttafuori dei locali di Londra e New York degli anni d’oro. Il regista di Amy, Asif Kapadia fa sapere che anche sua moglie, causa scarpe piatte, ha rischiato di rimanere fuori.
E Emily Blunt, agente Fbi per Villenueve in Sicario, non crede alle sue orecchie quando le raccontano il tutto. «Che avvilimento. Ognuno dovrebbe poter andare senza tacchi. Io preferisco stare in scarpe da ginnastica. È deprimente pensare che siamo qui a parlare del nostro lavoro mentre c’è gente che pensa ancora che le donne dovrebbero essere solo belle da vedere. Altro che uguaglianza. Dovremmo tutte poter calzare le scarpe basse». Villeneuve la butta sullo scherzo: «E per solidarietà io, Benicio e Josh saliremo sul red carpet con i tacchi».
Non l’hanno fatto, per la cronaca, e l’attrice inglese non ha rinunciato ai suoi, come invece sta facendo in questi giorni, per esempio, Isabella Rossellini, presidente della giuria di Un Certain Regard. Ma, certo sarebbe stato un modo efficace per sottolineare il paradosso.
Si possono mettere registe in apertura di rassegna (Emmanuelle Bercot), in gara (Valérie Donzelli e Maïwenn), e onorarle con premi alla carriera (Agnès Varda). Ci si può esaltare con le imprese dell’imperatrice Furiosa di Charlize Theron e le sue sorelle. Ci si può indignare di fronte a quanto emerge dai «Women in Motion Talks» promossa da Kering per volere di Salma Hayek (nel 2014 solo il 4,6% dei film degli studios è stato realizzato da una donna). Ma sono bastate delle scarpe basse per ricordare che il sessismo resta un nervo scoperto nel cinema. Non solo a Cannes. Per esempio, per avere Blunt in Sicario Villeneuve ha dovuto litigare con i produttori che storcevano il naso all’idea di un personaggio femminile in prima linea in un film d’azione.
E mentre sulla scalinata il tappeto rosso attutisce il rumore dei trampoli, dall’alto risplende il sorriso di Ingrid Bergman. Una che i tacchi alti proprio non li sopportava.