la Repubblica, 20 maggio 2015
Parla la madre di Domenico Maurantonio, il ragazzo morto in gita a Milano: «Basta bugie su mio figlio, impossibile che gli amici non abbiano visto nulla. Non beveva, andava d’accordo con tutti e non aveva motivo per suicidarsi. Non può essere stato un semplice incidente»
Sul tavolo della cameretta di Domenico è ancora appoggiato il certificato di inglese. “Conoscenze avanzate”, si legge nella colonna dei risultati. «Era il migliore della classe. Anzi, l’insegnante di lingua dice che era il suo migliore studente in generale. Domenico era studioso. Glielo ho detto prima che partisse per Milano: avrebbe dovuto stare a casa a studiare», dice ora Antonia Comin, madre di Domenico Maurantonio, il 19enne padovano morto all’alba di domenica 10 maggio dopo un volo da una finestra al quinto piano dell’hotel Da Vinci a Milano, dove era in gita con la sua classe. «Se mi avesse ascoltato, sarebbe ancora qui».
Prego?
«Il giorno prima della partenza ho provato a convincerlo a non andare. Quest’anno avrebbe avuto la maturità, non mi sembrava il momento per lasciare tutto. Lui ripeteva che voleva vedere Expo, che sarebbe stata una bella gita. Se mi avesse dato retta, sarebbe restato a Padova con Anna, sua ragazza e compagna di classe».
Perché Anna ha deciso invece di non prendere parte alla gita?
«Nel primo quadrimestre erano già andati in gita a Vienna e al campo di sterminio di Mauthausen. Erano tornati entusiasti. Però Anna aveva deciso che una gita poteva bastare».
In questi giorni è girata una voce secondo cui Domenico e Anna si fossero lasciati.
«Bugie, come quasi tutto che si è detto finora. Venerdì hanno cenato insieme, qui a casa nostra. Poi lui la ha riaccompagnata con la mia auto. Andavano d’accordo, si erano messi insieme il secondo anno di scientifico. Con lei Domenico era dolce».
Che carattere aveva suo figlio?
«Era sensibile alle emozioni e alle sensazioni dell’interlocutore. Un suo insegnante mi ha detto una frase bellissima: Domenico viveva le cose con l’anima».
Niente crisi con Anna, quindi.
«Domenico non aveva alcuna crisi in generale. Lo dico chiaramente: mio figlio non aveva motivo per uccidersi, come qualcuno ha insinuato».
Il suicidio sembra essere contemplato fra le possibili cause della caduta nell’indagine, che ora potrà contare sugli specialisti del caso di Garlasco.
«Ma di cosa stiamo parlando? Delle indagini non sappiamo nulla. Siamo stati costretti a una penosa trafila: ogni mattina abbiamo appreso notizie che a sera erano smentite. Io e mio marito abbiamo alcune certezze, ma a suggerircele è solo la conoscenza di Domenico».
Quali certezze?
«Nostro figlio non beveva. Ho piena la dispensa dei suoi succhi di frutta. Ogni tanto, una birra con la pizza e nemmeno sempre. Era buono, posato. Amava suonare alla chitarra i pezzi dei Dream Theater e dei Porcupine Tree, non certo fare serate alcoliche».
Aveva tanti amici?
«Un numero ristretto di amici veri. In classe era vicino ai tre ragazzi che hanno dormito con lui in quell’ultima tragica notte».
Con loro, avete parlato dopo la morte di Domenico?
«Non ce la ho fatta. Si sono presentati a casa per le condoglianze. Ci hanno detto che per loro quello che era accaduto era inspiegabile. Per me e mio marito, parlare o chiedere loro qualunque cosa in quel momento sarebbe stato troppo doloroso».
E con gli altri compagni, che rapporto aveva Domenico?
«Non parlava spesso degli altri compagni, ma non ci risulta avesse difficoltà nei rapporti. Andava alle feste di 18esimo compleanno, tornava contento».
Dopo la tragedia, avete sentito la vicinanza della comunità scolastica?
«Al funerale c’erano tutti. Il liceo Nievo ci ha mandato un telegramma, un altro è arrivato alla scuola dal ministro dell’Istruzione, ma si riferiva a noi. Ci hanno portato fiori e biglietti. Ma ora siamo di fatto soli con il nostro dolore. Ci stanno vicini i parenti e gli amici più cari».
Pensate si possa essere trattato di un incidente?
«Non è stato un semplice incidente. Abbiamo brutti presentimenti su come siano andate le cose, ma di più non dico», risponde Antonia Comin.
Poi chiede che a continuare a parlare sia il marito Bruno: «L’ipotesi che Domenico sia inciampato non è realistica».
Come fa ad affermarlo con tanta certezza?
«Ho voluto vedere il luogo in cui è morto mio figlio. Appena la polizia me lo ha concesso, sono andato a Milano. Ho camminato lungo quel corridoio. Mi sono affacciato al davanzale. È troppo alto perché un ragazzo che inciampa, o che sviene, possa cadere di sotto».
In corridoio sono state trovate feci. Suo figlio era stato operato di colecisti. Soffriva abitualmente di problemi di digestione?
«No, era come se non fosse mai stato operato, e stava benissimo quando è partito. Stava bene anche in gita. Si divertiva, era felice. Me lo ha scritto in un messaggio sabato sera, all’ora di cena. Quello che è successo poi, lo può raccontare solo chi era con lui. Domenico lo avrebbe fatto».
Cosa intende dire?
«Se Domenico avesse visto qualcuno morire, lo avrebbe detto. Non è realistico che nessuno lo abbia visto, fra quando ha lasciato la stanza a quando è stato ritrovato cadavere. Chi sa, parli».