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 2015  maggio 19 Martedì calendario

Il fallimento di Isbn. Dopo dieci anni la casa editrice porta i libri in tribunale, tra le polemiche degli scrittori e dei traduttori non pagati

Sono molti meno di sei i gradi di separazione tra un italiano qualsiasi e un traduttore o autore di testi non pagato per il suo lavoro, o retribuito – magari a rate – dopo mesi di minacce legali. Eppure capita che serva un “caso” per ricordare le condizioni in cui versa l’editoria, o quantomeno poterne parlare. Questa volta è stato un tweet scritto da Hari Kunzru, scrittore e giornalista britannico: “Quindi questo st****o di editore italiano Isbn ha pubblicato il libro di un amico e non pagherà il suo anticipo. Non abbiateci a che fare”. Nello specifico l’“amico” si chiamava Katie Kitamura, ed è sua moglie. Per la casa editrice aveva scritto Knock-Out. Kunzru coinvolge anche i traduttori verso i quali, sempre lo stesso editore, risulta insolvente.
Passano i giorni, e lo scrittore continua a incalzare, menzionando direttamente il direttore editoriale Massimo Coppola. Alcuni dei traduttori, che con Isbn avevano lavorato, si aggiungono alla lista condividendo la loro esperienza. Francesca Valente (“Ho tradotto Charlie Chaplin di Ackroyd un anno fa, e non ho ancora visto un centesimo”), Barbara Ronca (“Ho tradotto Panopticon di Jenni Fagan, mai visto un centesimo”), Federica Aceto (“Ho tradotto L’invasione degli Space Invaders di Martin Amis nel 2013 e devo ancora avere più della metà”) e via di seguito. Si diffonde, sfruttando il gioco di parole, l’hashtag #OccupayIsbn.
“Ho pensato che scrivere qualcosa di un po’ maleducato sui social network avrebbe attirato qualche risposta. E infatti le reazioni sono state tantissime”, conferma Kunzru a Paolo Armelli nella puntuale ricostruzione su Wired.it. Monta la polemica, e dopo qualche precisazione sul fatto che certi toni (“st****o”) escludevano la possibilità di una replica, Coppola risponde cercando il contatto dell’agente di Kitamura, per poter raccontare l’accaduto.
La spiegazione ufficiale, Coppola l’ha affidata a un lungo post sul sito di Isbn Edizioni: “Fino al 2013 tutte sono state regolarmente pagate – ci sarà qualche eccezione, ma in linea di massima è così. Quindi diciamo che il 95% delle persone ha avuto, nell’arco di vita della società, quanto gli spettava – si legge –. Quel 5% merita le scuse che più volte gli sono state rivolte via email o altro genere di comunicazione.
Ma non è mai abbastanza quando non si viene pagati, e dunque: scusateci ancora una volta. E se a qualcuno non abbiamo date risposte comprensibili o chiare, ci scusiamo due volte”. “Ho certamente commesso molti errori – scrive ancora Coppola nella ricostruzione dei 10 anni di attività e 300 libri pubblicati –. Forse avrei dovuto interrompere prima questa esperienza e non cedere al demone della speranza e della lotta, all’idea che il mese successivo sarebbe andato meglio”.
Non è la prima volta che situazioni del genere vengono allo scoperto sui social media. L’anno scorso Federico Di Vita chiese informazioni sul mancato pagamento di una prestazione sulla bacheca Facebook di Voland Edizioni e anche in quel caso l’editore, Di Sora, raccontò un quadro fatto di crisi, pochi soldi, scelta di mandare avanti i pagamenti di fissi e dipendenti, e rimandare gli altri.
Nell’eterno effetto domino che alla fine della filiera vede i freelance, l’esercito delle scadenze che valgono solo per le consegne degli elaborati e non per quelle dei bonifici ricevuti. E una delle ragioni per cui spesso chi lavora non riesce a dire no a certe condizioni, la spiega Federica Aceto su Minima & Moralia: “Quando io ho accettato lavori mal pagati o da case editrici con una cattiva fama, o lavori che mi hanno costretto a un tour de force che non valeva la candela, l’ho fatto per un solo motivo: la paura. La paura che un no detto da me a un editore potesse trasformarsi in mille no degli editori a me, la paura di perdere un contatto o un autore”.