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 2015  maggio 19 Martedì calendario

Nel mercato delle cose rubate. Viaggio a Scalo Vanchiglia, Torino, tra disperati, cercatori di tesori e ricettatori. Lì dove tutto è lecito, dove vigili urbani se ne stanno in strada, tra la puzza di sporco, di fumo di falò e di gas di scarico, e non fanno domande

Scusa ma sta roba dove l’hai presa? «Eh quante cose vuoi sapere. Se li vuoi li compri, sono nuovi. Sennò vai via». In questa alba di domenica, su questa spianata che puzza di sporco, di fumo di falò e di gas di scarico, quei tre strumenti elettronici ancora imballati, con tanto di fattura e data scritta a mano (09/05/1015), sono la star. «Dalli a me per cento euro. Tu sei uno zingaro, non sai neanche che cosa sono» urla un omone maghrebino. Ma il ragazzo in maglietta non molla. E il tesoro del giorno resta lì, su uno straccio verde e sporco, appoggiato per terra.
Gli attrezzi da cantiere
Scalo Vanchiglia, ore 6, c’è un traffico di auto e furgoni che neanche a mezzogiorno a Porta Palazzo. Tra un’ora questo sarà il maxi mercato di tutto ciò che si può immaginare, a prezzi strascontati. Oggetti recuperati nei cassonetti da povera gente che si guadagna il pane in questo modo, e roba rubata. Un luogo in cui, in barba a tutte le Asl e alle disposizioni sul commercio si cucinano all’aperto salamelle, hot dog e salsicce. E si vende tè verde scaldato in teiere piazzate sulla brace. Una spianata di cemento e asfalto, incorniciata da fabbricati che cadono a pezzi, erbacce e immondizia, un non luogo dove nessuno fa domande sull’origine di quella immensa distesa di trapani, avvitatori, flessibili e martelli demolitori «tutto di seconda mano». Un fortino circondato da muri, zona franca dov’è lecito vendere e comprare anche ciò che fuori da qui sarebbe non soltanto vietato, ma anche illegale. Ecco, qui dentro valgono soltanto due regole. La prima: non fare troppe domande. La seconda: non fare fotografie. Perché scattare un selfie è peggio che minacciare qualcuno con la pistola: «Adesso cancelli subito la foto». Ma la volevo mandare a mia sorella, la bici è per lei. «Ti ho detto cancella, o dammi il telefono!» D’accordo, cancello.
Due ore d’attesa
Alle 3, quando il sabato della movida sta quasi per finire, quando le auto con i ragazzi sciamano verso le periferie, a due passi dal cimitero monumentale, arriva il popolo dei venditori. Hanno furgoni con targhe di Bergamo, Brescia, Torino, Novara. E carretti, tantissimi. Coda al banchetto della cooperativa che gestisce il suk: lasci un nome, paghi 10 euro e hai il diretto di entrare. Ma non prima delle 5 quando si spalanca il cancello e i mezzi sgasano in una improbabile corsa verso il nulla.
I cercatori di tesori
«Adesso il quadro lo guardo io e tu aspetti, ti è chiaro?» bofonchia il tipo con i capelli grigi e zaino marrone in spalla, uno dei tanti cacciatori d’affari che s’infilano qui dentro quando è ancora buio. Italianissimo, scruta con aria da professionista due croste che valgono zero. Se ne andrà tre ore dopo, con una misteriosa lampada a raggi Uv in spalla: «È un affare, serve per i dolori». Come lui, già in piena notte, ce ne sono tanti a caccia di un affare. S’aggirano sul piazzale armati di torce, e lampade piazzate sui cappelli. «C’è poca roba di valore, oggi» sentenziano. E intanto c’è chi cerca dischi, e chi oggetti d’arte. Chi oro e chi una bicicletta nuova. Ma nel furgone al fondo del piazzale le bici sono ancora tutte al chiuso. E si deve aspettare che si spalanchino i portelloni e appaiano mountain bike seminuove e Bianchi da passeggio nuovissime, accanto a rottami recuperati chissà dove.
Mi serve un telefono
«Adesso vado e spacco la faccia a quel marocchino: due settimane fa mi ha venduto il telefono e non funziona. Se lo becco...». Ma sono rubati? «E secondo te un iPhone così, a 70 euro, dove lo trovo?» E brava Paola che adesso litiga per un’iPhone 6, che quello vorrebbe fargli pagare più di 200. E bravo anche il pensionato in giacca nera, cravatta e capelli bianchi che piazza catenine, braccialetti e orologi. D’oro, ovviamente. Ma soltanto a chi dimostra di essere davvero interessato. E bravo anche l’imprenditore che vorrebbe comprarsi un maxi calibro ancora imballato da due ragazzotti rom – «è da stampi, me ne intendo io» dice. Ma costa 130 euro. «In negozio lo paghi 800».
Zero controlli
Non c’è una divisa che sia una in questo mercato dove finiscono montagne di abiti rubati dai cassonetti e portatili di dubbia provenienza. I vigili urbani se ne stanno in strada e non fanno domande. Quando, alle 10, scoppia una lite per un tappeto, qualcuno chiama i carabinieri La pattuglia arriva, posteggia all’aperto, entra e va a cercare venditore e acquirente. Non li trovano e se ne vanno, ignorati da tutti. Anche dal tipo che se ne infischia di clienti, colleghi, divise e divieti e scarica dal furgone scarpe, vestiti, una tv al plasma: «Te la do per 150 euro».