Il Messaggero, 18 maggio 2015
La ragnatela creata in laboratorio. La scoperta del professor Pugno e del borsista Lepore: aracnidi irrorati di grafene e carbonio creano fili venti volte più resistenti anche del leggendario Kevlar 49
Sembra il soggetto di un B-Movie, dove lo scienziato un po’ pragmatico provoca una mutazione incontrollabile in un innocuo insetto innescando disastri a ripetizione. Invece è una seria ricerca del team diretto dal professor Nicola Pugno all’Università di Trento e realizzata da Emiliano Lepore, borsista postdottorato che lavora nel dipartimento di ingegneria meccanica e strutturale. Il ricercatore ha irrorato alcuni aracnidi della specie Pholcidae, noti anche come ragni ballerini, con una miscela di acqua, nanotubi di carbonio e fiocchi di grafene. Molti di loro sono morti, ma i sopravvissuti hanno arricchito con questi nanoelementi sintetici la loro tela, rendendola decisamente molto resistente, quasi 20 volte più del kevlar49 e di altre sostanze conosciute. Immaginate che un tessuto realizzato con questa fibra potrebbe fermare tranquillamente un proiettile. Inoltre, la sua estrema resistenza non compromette la duttilità della fibra che può essere tesa fino a cinque volte la sua lunghezza senza rotture.
SUPERFILATI
La sperimentazione svolta all’ombra delle Dolomiti ha suscitato L’interesse nel mondo scientifico d’oltreoceano, con articoli su MIT Technology Review, Science e Wired, pubblicazioni culto americane. Ma le indagini sulla resistenza della seta dei ragni parte da lontano.
Nel 2012, gli scienziati che lavorano per il Consorzio Forensic Genomics nei Paesi Bassi hanno prodotto una pelle umana sintetica dura come l’acciaio. Il tessuto è stata realizzato con il latte di capre geneticamente modificate e una proteina presente nella seta di un ragno. Una tecnica sviluppata da Randy Lewis, un professore di bioingegneria dell’Università dello Utah, che da 25 anni lavora per sintetizzare la seta di ragno convinto delle sue applicazioni future in settori industriali di vario genere. Le possibili applicazioni oltre i filati di base includono giubbotti antiproiettile, airbag, pneumatici e vele. Grazie anche alle sue proprietà antimicrobiche la seta è ideale per suturare le ferite, essendo anche il 50% più sottile dei normali fili medici e praticamente indenne alle rotture. Restando in ambito medico, non avendo problemi di rigetto in chirurgia, può essere utilizzata per la fabbricazione di tendini artificiali. Infine, la sua conducibilità termica è simile a quella del rame, con una densità di massa sette volte inferiore che lo rende un potenziale materiale di controllo del calore.
FUTURO PROSSIMO
Anche in Oriente stanno attrezzandosi per avviare una produzione industriale su larga scala. La Spiber, una start up giapponese che lavora in partnership con i coreani del KAIST, istituto di ricerca nazionale, prevede di aprire un impianto pilota entro quest’anno in grado di produrre 100 kg di fibra di seta di ragno al mese con tecniche di biotecnologia. «Con un solo grammo delle nostre proteine possiamo produrre circa 5,6 miglia di seta artificiale», dicono con un certo entusiasmo i ricercatori giapponesi.
L’esperimento condotto da Lepore a Trento tuttavia apre nuove strade, anche se le incognite sono molte. Ancora non è chiaro, ad esempio, come i ragnetti dissetati con il cocktail di acqua e nanotubi di carbonio riescano a incorporare gli elementi con la seta, e c’è qualche ragionevole dubbio sulla possibilità di una produzione su larga scala. Le fattorie con i ragni che producono seta in batteria sono di difficile gestione, come dice Jeffrey Turner il presidente di Nexia, una società che lavora per il governo degli Stati Uniti su fibre derivate dal dna di particolari aracnidi: «Non bisogna dimenticare che i ragni sono dei carnivori territoriali, che non possono essere allevati come galline. Se chiudessimo 10 mila ragni in una stanza, dopo una settimana ne troveremmo soltanto uno: quello più cattivo».
FATTORIE DI BACHI
La strada migliore da percorrere sembra quella di applicare la tecnica elaborata dal gruppo di Trento ai bachi, decisamente più docili e da migliaia di anni abituati a produrre seta in quantità industriali. Il fattore vincente di questa nuova tecnica è la sua semplicità, ed è per questo che la ricerca di Trento risulta impressionante. Se come ipotizzano Lepore e i ricercatori trentini, i nanotubi in carbonio vengono raccolti dai ragni ed integrati durante la filatura alla seta, potrebbe essere adottato un approccio simile anche su altri animali o piante, dando la spinta alla creazione di una nuova classe di materiali bionici.
La ricerca d’altronde sta facendo passi da gigante investigando sulle capacità della natura di creare materiali dalle straordinarie capacità, grazie agli sviluppi della bioingegneria. Un esempio è il crabyon, un materiale attualmente in produzione in giappone, ricavato dalla chetina presente nella corazza dei granchi che incrociato con la viscosa genera un tessuto fortemente antibatterico anche dopo i lavaggi.