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 2015  maggio 18 Lunedì calendario

Elogio del plagio. Quando la copia diventa originale. Un bel saggio di Luigi Mascheroni: «È davvero un crimine? Scrittura, pittura, cinema e musica da sempre si nutrono di ispirazioni e contaminazioni». Con effetti artistici sorprendenti. A cominciare da Mozart che si appropriò di temi di Anfossi e Cimarosa al “Fait d’hiver” di Jeff Koons ispirato da una pubblicità

La nozione di plagio sta rapidamente tramontando, riservata sempre più agli specialisti. Del resto il diritto d’autore risale solo a un paio di secoli fa e prima chi traduceva un libro non si peritava di firmarlo e, se ne aveva voglia, di cambiarne il finale. Tutto ci dice che stiamo tornando a quella spensierata epoca. All’università i laureandi tendono irresistibilmente a comporre un frettoloso mosaico di copia e incolla da Wikipedia, a volte senza nemmeno leggerlo. Già il fatto di avere scelto qualcosa per copiarlo sembra meritorio.
Per questo Luigi Mascheroni ha intitolato il suo vasto e appassionante saggio Elogio del plagio (ed. Aragno, p.302, €.20). «Chi ha detto che il plagio è un delitto? La scrittura – come la pittura, il cinema, la musica – da sempre si nutre di ispirazioni, prestiti e contaminazioni». Un’apertura semiseria da cui Mascheroni procede sgranando un’impressionante serie di nomi dall’antichità al presente, da Catullo alla Tamaro. «Ma è davvero un crimine?», incalza Mascheroni, il plagio, quando non è puro copia-e-incolla ma rielaborazione creativa di un “originale”, può sortire effetti artistici sorprendenti.
CELEBRITÀ
Il plagio non ha confini e raggiunge anche la gastronomia. Elsa Maxwell, dovendo organizzare una cena importante, aveva plagiato il menu di un celebre dandy, Boni de Castellane. Un’astuzia che non sfuggì al celebre maitre del Ritz di Parigi, Olivier, che inchinandosi aveva replicato: «A questo pranzo, mademoiselle, manca una sola cosa per essere perfetto, la firma del marchese de Castellane». Inutile aggiungere che il plagiato, troppo ben educato per smascherarla, si era limitato a guardarla male per il resto della serata.
«Mozart ha plagiato un compositore italiano!», denunciò in prima pagina il Times di Londra nel 1997 restituendo tardivamente i suoi meriti al napoletano Pasquale Anfossi. Per non parlare dell’Ouverture del Flauto magico dove sono facilmente riconoscibili temi di Cimarosa. Peraltro «Piango, gemo, sospiro e peno», di Vivaldi divenne tra le mani di Bach un Andante per il Concerto in si minore.
E che dire del Fait d’hiver di Jeff Koons, uno degli artisti più quotati del mercato mondiale dell’arte, in cui la scultura, una giovane donna riversa nella neve soccorsa da un maialino si distingue da una pubblicità, fatta tre anni prima, solo per il fatto che la donna porta una maglia a rete e il porcellino è scortato da due pinguini?
Se un pittore riprende una fotografia fa un plagio? Nell’incertezza Richard Prince, dopo avere riconosciuto di avere usato senza citare la fonte, molte immagini del fotografo Patrick Cariou, ha diffuso su internet la scena in cui bruciava una delle opere incriminate.
Si dice che Le iene sia un plagio sfacciato di City on Fire, film di un regista che Quentin Tarantino apprezza molto, Ringo Lam. Ma Quentin si diverte sentendo le voci che girano su di lui. «Mi piace l’idea che la gente parli di me e spettegoli su di me».
COLLABORAZIONI
A volte il plagiato è complice del plagiatore e la sua vena si affievolisce quando il sodalizio si scioglie. I negri di Dumas avevano tentato invano di raggiungere il successo da soli. Elisabeth Hauptmann, una brillante scrittrice di Berlino, faceva da negro a Brecht. Era stata lei a portargli L’opera del mendicante di John Gray, un libro del primo Settecento inglese, cui si sarebbe largamente ispirata L’opera da tre soldi, di cui Elisabeth aveva scritto, si dice, quasi il novanta per cento. Ma il distacco dallo scrittore era coinciso con un peggioramento delle sue pagine, come se quell’oscura collaborazione le fosse necessaria per scrivere.
Di certo un plagio è perdonabile se è riuscito, se cioè supera l’opera cui si è ispirato. Quando un amico l’aveva accusato di plagio, Oscar Wilde aveva replicato: «Quando vedo nel giardino di un altro un mostruoso tulipano con quattro petali, mi sento stimolato a fare crescere un mostruoso tulipano con cinque petali, ma questo non è un buon motivo perché qualcuno debba farne crescere uno con tre soli petali». Per non parlare di sublimi plagiatori come D’Annunzio. Il piacere infatti era un sapiente assemblaggio di materiali presi in prestito. Molti pensieri del protagonista, l’esteta Sperelli, erano stati rubati al sommesso diarista Amiel. Altri passi erano stati sfilati a Francis Jammes, che lo ammirò senza accorgersi dell’esproprio. Agli ammiratori, che l’invitavano a scrivere la sua autobiografia, Dorothy Parker obiettava che non avrebbe mai potuto farlo senza essere accusata di plagio dagli autori di due note commedie costruite sulla sua personalità.
E la tradizione, non potrebbe essere vista come una serie ininterrotta di plagi? A lanciare l’accusa è Davidi Shields che in Fame di realtà (Fazi) sostiene che ormai «la massima originalità per uno scrittore è rubare bene».
In ogni caso forse bisogna limitarsi a reagire come Coco Chanel che proclamava: «Per me, la copia è il successo. Non c’è successo senza copia, senza imitazione».