Corriere della Sera, 15 maggio 2015
L’epopea del sauvignon, il vitigno che sa esaltarsi in ogni continente. La storia e i segreti di un vino giramondo. Per la prima volta il concorso internazionale che gli viene dedicato lascia la Francia e sbarca in Friuli
È un vitigno giramondo, ma esigente: non viene bene dappertutto. Ha successo per le sue caratteristiche di freschezza e aromaticità, che si esprimono soprattutto con fermentazioni in acciaio, e continua a diffondersi forse per reazione al gusto un tempo imperante dello Chardonnay in barrique. I migliori Sauvignon si riconoscono per l’eleganza al palato, e per gli aromi inconfondibili. A seconda del livello di maturazione delle uve, cogliamo dal calice note di salvia, timo, foglia di pomodoro, asparago, uva spina, pompelmo. Negli anni Ottanta, i sommelier amavano segnalare un sentore non proprio nobile, ma che rende l’idea: pipì di gatto.
Il corredo olfattivo del Sauvignon ruota attorno a composti chiamati metossipirazine, influenzati dal clima, dalla luce solare e dai tempi di raccolta delle uve. Denis Dubourdieu, professore all’Università di Bordeaux, ha messo in luce l’importanza di altre molecole, i tioli, che si sviluppano dopo la fermentazione alcolica. I tioli presentano una gamma di profumi che spazia dalla salvia al pompelmo, con note fumé.
Nella classifica mondiale dei vitigni, il Sauvignon si colloca a un ragguardevole nono posto, secondo un’analisi dell’Università di Adelaide su dati del 2010. Nel 2000 si trovava alla diciassettesima posizione. Ha vari sinonimi, i più conosciuti sono Blanc Fumé a Sancerre (Loira) e viceversa Fumé Blanc in California. Per quanto riguarda le sue origini, nasce certamente nella Valle della Loira, dove comparve col nome di Fiers nel 1534. Quando papà Sauvignon partì per la Gironda, si accoppiò con il Cabernet Franc dando vita al vitigno più popolare del mondo: il Cabernet Sauvignon, appunto.
L’origine ne spiega anche il nome, che deriva da sauvage, «selvaggio», perché la forma delle sue foglie ricorda quelle delle viti selvatiche. La sua maturazione è precoce, preferisce i suoli magri, pena la perdita di personalità. I cosiddetti vitigni nobili, nella cui schiera mettiamo sicuramente il Sauvignon, sono tali perché si adattano egregiamente a diverse regioni viticole. In Francia è la terza varietà più diffusa, con 26.839 ettari (dato 2009), dopo l’Ugni Blanc (che poi è il Trebbiano Toscano!) e lo Chardonnay.
Non è la Loira, a sorpresa, la regione dov’è oggi più diffuso, ma la Linguadoca. La valle dei castelli, però, con i suoi Sancerre e i suoi Pouilly-Fumé, ha reso celebre il vitigno, che qui esalta il terroir con aromi intriganti, polvere da sparo, lime e salvia. I vini sono secchi, con buone capacità evolutive in bottiglia. A Bordeaux lo si trova sempre in compagnia del Sémillon, negli apprezzati Bordeaux bianchi, come quelli di Pessac-Léognan e delle Graves.
In Italia, secondo dati del 2000, copre 3.393 ettari, concentrati nel Nordest: l’Alto Adige e in particolare il Friuli Venezia Giulia sono le regioni elettive del Sauvignon tricolore. Nell’Est Europa fa la parte del leone in Romania (3.243 ettari) e Moldavia (8.151). Una grande passione per il vitigno si è scatenata anche nel cosiddetto Nuovo Mondo: in California è piantato su oltre seimila ettari, soprattutto nelle valli di Sonoma e di Napa. Da queste parti lo stile è più ricco, morbido, leggermente speziato, talvolta affinato in legno, con caratteristici sentori di melone.
È considerevole la produzione in Cile (7.922 ettari) e in Argentina (2.090 ettari). In Australia (6.405) è la terza varietà a bacca bianca dopo Chardonnay e Sémillon. Ma è la Nuova Zelanda che ha fatto del Sauvignon blanc la sua bandiera, nonostante le prime viti siano arrivate negli anni Settanta. Nel 2011 le statistiche parlavano di 18 mila ettari, dei quali 15.700 solo nella contea di Marlborough. Lo stile qui è fruttato, con freschezza al palato. Spiccano le note di pompelmo, che dominano sui sentori erbacei e al palato hanno struttura e grado alcolico piuttosto sostenuto, ma ben equilibrato dall’acidità. Per terminare la panoramica, citiamo il Sudafrica (9.155 ettari nel 2008), che presenta un Sauvignon a metà strada tra lo stile classico europeo quello più fruttato del Nuovo Mondo.
* l’autore è direttore ed editore di Civiltà del bere