Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2015  maggio 15 Venerdì calendario

Per indire un referendum sull’Ue bisogna avere le idee chiare. Ecco perché in Italia, dove la confusione regna sovrana, non si può fare. E fino a quando gli euroscettici non avranno fornito migliori argomenti, bisognerà accontentarsi della validità di quello del 1989

Cameron ha vinto alla grande le elezioni in Gran Bretagna e ha confermato che chiamerà il popolo a un referendum pro o contro l’adesione all’Unione Europea. Giusto. Trattandosi, bene o male, di un cessione di sovranità, è il popolo sovrano che deve decidere. Così come hanno già fatto altri: ad esempio francesi, danesi, irlandesi. Noi italiani non siamo mai stati interpellati sull’aderire o no a questa Ue. Per i nostri governanti non ce n’era bisogno: bastavano loro. Così ora siamo cittadini europei di serie B: lo siamo senza averlo deciso noi, a differenza di altri che hanno votato di esserlo. Non mi sembra giusto. Tutti dovrebbero avere questo diritto. Ma provi a pensare che esito avrebbe oggi un tale referendum in Italia!
Antonio Massioni

Caro Massioni,
Un referendum molto simile a quello auspicato nella sua lettera ha già avuto luogo. Quando votarono per il rinnovo del gruppo italiano al Parlamento europeo di Strasburgo, il 18 giugno 1989, gli elettori trovarono nei seggi una scheda in cui era scritto: «Ritenete voi che si debba procedere alla trasformazione delle Comunità europee in una effettiva Unione dotata di un governo responsabile di fronte al Parlamento, affidando allo stesso Parlamento europeo il mandato di redigere un progetto di costituzione da sottoporre direttamente alla ratifica degli organi competenti degli Stati membri della Comunità?». Per quel referendum consultivo, non espressamente previsto dalla Costituzione, il Senato, qualche mese prima, aveva definitivamente approvato con voto unanime la legge costituzionale che lo avrebbe reso possibile. Al voto parteciparono 37.560.404 votanti, pari all’80,68% dei 46.552.411 elettori italiani. I sì furono 29.158.656, vale a dire l’88,03% dei votanti.
Lei potrebbe forse osservare, caro Massioni, che le condizioni dell’Italia e dell’Europa nell’estate del 1989 erano alquanto diverse da quelle dei nostri giorni. Non era ancora caduto il Muro di Berlino. Esisteva ancora un blocco sovietico dalla Repubblica democratica tedesca a Vladivostok. Non avevamo ancora firmato il Trattato di Maastricht con cui i membri delle Comunità europee si sarebbero impegnati a creare un mercato unico e una moneta unica. Ed era ancora molto lontana, infine, quella crisi del credito, nata a Wall Street nel 2008, che avrebbe duramente colpito alcuni Paesi europei.
Ma commetteremmo un errore se credessimo che il mercato unico e l’euro hanno reso l’Italia più vulnerabile. Fummo vulnerabili perché non avevamo messo la nostra economia in condizione di cogliere le straordinarie occasioni offerte dal mercato unico, non avevamo ridotto il debito e il deficit, continuavamo a indebitarci spensieratamente, non avevamo migliorato la nostra produttività e passavamo una buona parte del nostro tempo a parlare di Berlusconi. È molto probabile che un referendum sull’euro, se si tenesse oggi, rivelerebbe l’esistenza di un consistente partito contrario alla moneta unica. Ma gli elettori risponderebbero a una domanda sbagliata e la loro risposta finirebbe per distrarre il Paese dai temi su cui dovrebbe concentrare la propria attenzione.
Un referendum sull’Europa potrebbe avere un senso soltanto se avessimo idee chiare e ferme convinzioni su quelle parti della costruzione europea che non consideriamo compatibili con i nostri interessi. Ma non basta dire «torniamo alla lira», come fanno alcune forze politiche, senza spiegare che cosa accadrebbe il giorno dopo. Per ora, e sino a quando gli euroscettici non ci avranno fornito migliori argomenti, il referendum del 1989 conserva la sua originale validità.