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 2015  maggio 15 Venerdì calendario

La California è rimasta a secco d’acqua. Dopo quattro anni di siccità, il Golden State è in ginocchio. Parchi a rischio, bellezze naturali colpite, l’intera economia a pezzi. E il governatore annuncia nuove drastiche riduzioni. «Qui si rischia uno shock finanziario dirompente»

La California rossa mi accoglie appena atterro all’aeroporto di San Francisco. Il colore non è un’allusione politica. Per averci abitato tanti anni, noto subito l’arrossamento delle foreste, mentre mi avvio verso Sud sull’autostrada 280. Gli alberi rossi aumentano se imbocco una deviazione a Est verso la Sierra Nevada. Le notizie più tragiche arrivano dalla punta meridionale di questa catena di montagne. «Foglie e aghi rossi dei pini – spiega il portavoce della San Bernardino National Forest – sono l’ultimo segnale di un’agonia. 12 milioni di alberi sono già morti per la mancanza di acqua». Sequoie, conifere, eucalipti, quando sono stremati dalla sete vengono anche aggrediti da eserciti di insetti, scarafaggi, larve assassine. Una piaga biblica. Al quarto anno di questa siccità record, gli scienziati calcolano che l’evento non ha precedenti da oltre un millennio (vedi l’intervista qui a fianco). La California ambientalista, alla punta nelle innovazioni eco-sostenibili come l’auto elettrica, regredisce anche nelle sue conquiste di qualità della vita: un recente rapporto dell’associazione dei medici polmonari lancia l’allarme, «nonostante le regole antiinquinamento più severe del mondo, con la siccità peggiora in modo drammatico la qualità dell’aria, dalla Central Valley a Los Angeles le particelle di zolfo nell’aria sono risalite a livelli record».
«Quest’estate dovremo ridurre per legge i consumi d’acqua, tagli drastici, meno 25% rispetto all’anno scorso», annuncia il governatore democratico Jerry Brown. Un quarto di acqua in meno, quasi un razionamento di guerra. «Qui si rischia uno shock economico dirompente», è la diagnosi della Confindustria locale, la Chamber of Commerce. Si scopre fragile l’economia più ricca del mondo, lo Stato Usa che il resto del pianeta ammira e invidia, il laboratorio di tutte le rivoluzioni tecnologiche. Da sola, con 2.200 miliardi di Pil, la California è la settima potenza mondiale. I suoi 39 milioni di abitanti producono più ricchezza di Italia, Russia, Brasile. Eppure The Golden State, lo Stato dorato con le sue meraviglie naturali, dalle spiagge del surf ai canyon e parchi nazionali, si dibatte in una crisi di cui non vede lo sbocco. La ricchezza economica non basta, anzi diventa il carburante per conflitti tra lobby potenti: la più grande industria tecnologica mondiale contro l’agricoltura più florida e produttiva.
La polizia di Fresno, nella Central Valley, è subissata di denunce per misteriosi “furti d’acqua”. Nottetempo qualcuno “rapina” le riserve che provengono dal delta: l’estuario dei due fiumi Sacramento e San Joaquin, che confluiscono nella baia di San Francisco. I sospetti puntano sui grandi agricoltori della zona. Come nella storia raccontata dal film “Chinatown” di Roman Polanski, rivivono le guerre dell’acqua che agitarono la California nel primo Novecento. Ma con protagonisti nuovi. L’agrobusiness miliardario, che fornisce frutta e verdura a tutti gli Stati Uniti, contende acqua alla forza lavoro di Apple, Google, Facebook, Twitter, Intel, Cisco. Ingegneri informatici contro agricoltori. Le leggi, scritte un secolo fa, danno ragione ai secondi. Un complicato sistema di “anzianità dei diritti dell’acqua”, privilegia le immense tenute agricole rispetto ai cittadini. Due economie parallele, due superpotenze del capitalismo americano si contendono falde acquifere sempre più sottili. Apple, Google, Facebook si sentono investiti della missione di traghettarci verso il futuro, ma può sopravvivere l’economia digitale se l’agricoltura non è più in grado di sfamarci? «Qui da noi i tagli saranno ancora più severi, dobbiamo razionare i consumi d’acqua del 30%» dichiara John Tang, portavoce dell’acquedotto che rifornisce San Jose e Cupertino, la sede di Apple.
Hollywood vive la stessa emergenza, un film recente interpreta gli incubi californiani in chiave di fantascienza: “Interstellar”, con Jessica Chastain e Michael Caine, racconta un futuro angoscioso in cui i campi diventano sterili, tempeste di sabbia sterminano i cereali, costringendo l’umanità a cercare scampo su altri pianeti.
Nel quotidiano Hollywood sta vivendo un altro psicodramma. Infuria la caccia alle star che non rispettano i limiti sui consumi d’acqua imposti perfino dal municipio di Beverly Hills: vietato annaffiare giardini, riempire piscine, lavare le auto. Su Twitter e altri social media si usa l’hashtag #DroughtShaming cioè SiccitàVergogna, per denunciare con foto chi esibisce prati all’inglese lussureggianti, party a bordo piscina e altri segni di spreco. Sono finite nella gogna mediatica Jennifer Lopez, Barbra Streisand, Kim Kardashian.
Come costringere a consumi frugali una popolazione così opulenta? Cerco la risposta a Santa Cruz, punta settentrionale della baia di Monterey. Da tempo questa cittadina è all’avanguardia, protagonista di un esperimento pilota per il cambiamento nelle abitudini di vita. «È partita da Santa Cruz – dice lo scienziato Max Gomberg, consulente dell’authority delle acque – una strategia di sanzioni e rieducazione. Sono stati i primi a mettere multe da 500 dollari per ogni violazione. Ma anche a commutare le pene, convertendole in sessioni di addestramento al risparmio d’acqua». Il primo anno di questo esperimento è stato violento: 1,6 milioni in multe per eccessi di consumi, su una cittadina di soli 63mila abitanti. Il sindaco Don Lane, 59enne con un passato di militante di estrema sinistra, ha però convertito la metà delle multe: 800.000 dollari abbuonati a chi seguiva diligentemente i corsi di rieducazione ambientalista. «Il nostro obiettivo – dice – non è fare cassa, ma incidere davvero sui comportamenti, risparmiare acqua». Gli abitanti di Santa Cruz ormai sanno che una doccia deve durare meno di 5 minuti, e non si lascia il rubinetto aperto mentre ci si lavano i denti. Il governatore Brown vuole estendere la lezione in tutta la California. Bastone e carota, senza lesinare sul bastone: Brown vuole alzare le multe a 10.000 dollari sui recidivi dello spreco. Altre città imitano Santa Cruz introducendo tariffe progressive: il costo dell’acqua sale più che proporzionalmente con i consumi.
Gli sforzi di risparmio non bastano. Al quarto anno di siccità la California si sente obbligata a pensare in grande, studia progetti futuristici per garantirsi la sopravvivenza. Il governatore lancia un piano titanico di nuovi acquedotti: due gallerie sotto l’estuario Sacramento-San Joaquin, più lunghi dell’Eurotunnel sotto la Manica, un investimento da 25 miliardi per salvare il delta, prosciugato e soffocato dalla risalite delle acque marine che provocano ecatombi nella fauna dei fiumi. L’industria moltiplica gli sforzi tecnologici in ogni direzione. Nestlé brevetta un nuovo sistema nella sua fabbrica di Modesto (140 km a est di San Francisco) per il riuso degli scarti del latte: diventano liquido detergente e per il raffreddamento degli impianti. Più controversi sono gli investimenti nella de-salinizzazione. Il sindaco di San Diego inaugura un impianto a Carlsbad, per trasformare l’acqua salina in potabile: ma consuma molta energia, aumenta le emissioni di CO2, intossica la flora marina. E soddisfa comunque solo il 7% dei bisogni della città.