la Repubblica, 15 maggio 2015
Il caso del ticket per accedere alla tonnara di Scopello, in Sicilia. È l’ennesima replica di un dibattito tipico della civiltà di massa: tutelare la bellezza limitandone il consumo o consegnarla, in quanto bene pubblico, all’uso e spesso all’abuso delle moltitudini?
La tonnara di Scopello, in Sicilia, capolavoro quasi millenario del rapporto uomo-mare, è al centro di una vivace polemica. I proprietari, un gruppo di privati in buona parte eredi di famiglie possidenti, impongono un ticket per l’accesso. Il Comune – anche nel nome delle leggi sui litorali – chiede di levarlo. Gli ambientalisti dicono che il ticket va mantenuto, a tutela di un luogo anche recentemente devastato dal passaggio di spensierati branchi di umani, con grevi tracce di rifiuti, falò notturni, escrementi. È la replica, ennesima, di un dibattito tipico della civiltà di massa. Tutelare la bellezza limitandone il consumo (in tutti i sensi) o consegnarla, in quanto bene pubblico, all’uso e spesso all’abuso delle moltitudini? Nel caso delle opere d’arte la risposta è già data: la loro visione è regolamentata per forza di cose; il numero chiuso (gli Scrovegni a Padova, il Cenacolo a Milano) è dettato da insormontabili esigenze di conservazione. Ma i beni naturali o semi-naturali come quel breve tratto di costa sicula? O infinitamente più vasti come le Dolomiti, il Bianco, i parchi naturali? E le città d’arte, Venezia, Firenze? Non l’eventuale interesse privato – comunque spesso utile a conservare la bellezza – ma la coscienza pubblica, gestita da amministratori e governanti, sarà costretta prima o poi a disciplinare l’uso di quei beni magnifici e fragili. Ma fino a che affidare a mani pubbliche luoghi come la Tonnara di Scopello non garantirà severità e controlli, è inevitabile contare sulla premura dei suoi tutori privati.