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 2015  maggio 15 Venerdì calendario

Il giallo sulla morte di Domenico, il 19enne di Padova caduto da una finestra dell’hotel Da Vinci, durante una gita scolastica a Milano. I compagni iniziano a parlare, a dire che, quella notte, avevano bevuto molto, che avevano messo un lassativo nella birra del ragazzo, ma che non sanno com’è morto perché dormivano profondamente. Intanto il prof di educazione fisica ammette: «Certo che con il passare del tempo vengono dei dubbi ma come possono aver ingannato investigatori così esperti. L’ho detto, ai ragazzi: se sapete e non avete ancora ammesso niente, fatevi avanti»

Non solo una birra. Non soltanto qualche bicchiere per brindare alla prima notte a Milano. A quasi una settimana dal volo giù per cinque piani di Domenico Maurantonio, il 19enne di Padova morto durante la gita scolastica a Milano, il muro di silenzio dei ragazzi del liceo Ippolito Nievo  lentamente si sgretola.
Non si sa ancora come e perché il liceale sia caduto da una finestra dell’hotel Da Vinci, ma ieri – come la Procura di Milano ha sospettato fin dal primo giorno – gli studenti hanno raccontato di aver «bevuto molto»: «E Anche Domenico ha bevuto con noi. Per questo ci siamo addormentati profondamente, senza sentire rumori o accorgerci di niente», ha detto uno dei ragazzi della 5E ascoltato (con altri 13 studenti del Nievo) negli uffici della questura di Padova. Un compagno di stanza della vittima è stato sentito per quasi otto ore: «Non potete capire come sto. Siamo tutti in cerca della verità». Alcuni compagni del 19enne avrebbero confermato che quella notte sarebbe stato versato del «lassativo nella birra di Domenico». Ma su questo punto la cautela degli investigatori è massima.
Tre allievi (compresi due compagni di stanza) si sono sottoposti volontariamente al test del Dna e delle impronte. Oggi potrebbero arrivare i primi (parziali) risultati dei test tossicologici. L’ufficialità non c’è ancora, e il riserbo resta altissimo, ma gli  inquirenti avrebbero iscritto il fascicolo con l’ipotesi di omicidio colposo a carico di ignoti. Al vaglio anche la posizione dei professori. Domenico era vivo fino alle 5 di domenica, come testimoniano i messaggi scambiati via Whatsapp con altri compagni di scuola. La preside del Nievo ha chiesto alla polizia verifiche su un misterioso «slavo» notato quella notte dai ragazzi. Si tratterebbe però di un semplice addetto dell’hotel.
I genitori del 19enne hanno nominato un legale, l’avvocato fiorentino Eraldo Stefani, anche in vista di una richiesta di risarcimento alla scuola. Oggi alle 10.30 le esequie.
Cesare Giuzzi
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 Fabio Coppo, insegnante di Educazione fisica della Quinta E: ma quanto durerà questa omertà? Non c’è nessuno fra voi docenti che abbia il coraggio di parlare? Il professore di Religione Giandomenico Bellomo scappa, quello di Disegno Luigi Boscardin se la prende con i giornalisti, e tutti voi dell’Ippolito Nievo, tutti quanti, forse siete troppo impegnati a salvare il buon nome del liceo scientifico che fa studiare i rampolli dei potenti di Padova; eppure c’è un ragazzo morto, c’è la sua famiglia che pretende di conoscere la sacrosanta verità... «La smetta subito. Lei forse non ha idea delle dimensioni della tragedia. Per Domenico, per sua mamma Antonia, per il papà Bruno. E per noi. La Quinta E la seguo dal primo anno.
Ho visto crescere i ragazzi uno a uno. Ne abbiamo fatte tante, di gite. E mai un problema. Siamo stati a visitare i campi di concentramento in Germania, a novembre, e ci sono state fra gli studenti una cura nella preparazione, una serietà nell’approccio che non so  quanti adulti avrebbero avuto. La classe è sempre stata esemplare.
Non usi, la prego, il termine omertà: ci offende. Che cos’è successo a Domenico? Non lo so. Ero nell’hotel, proprio con Bellomo e Boscardin. E sono stato il primo a parlare con i Maurantonio dopo che la polizia era andata a casa ad avvisarli. Sono stato al telefono e li ho incontrati di persona, in una stanzetta della squadra mobile di Milano. Non ho saputo dare le risposte che cercavano. Sono genitore anch’io. Se mi fosse capitata una disgrazia del genere, avrei smosso le montagne a pugni pur di farmi raccontare, per filo e per segno, ogni singolo istante». Fabio Coppo ha cinquant’anni e due figli. Entrambi hanno frequentato l’Ippolito Nievo. Figura carismatica del rugby veneto, il professore riparte nel suo racconto da sabato sera.
«Abbiamo mangiato insieme una pizza. Con i ragazzi ci siamo raccomandati di ritirarsi nelle camere intorno all’una.
Mi sono coricato. Mi sono svegliato due volte, la prima alle tre, per andare in bagno, e la seconda alle sei, per tirare la tendina visto che mi dava fastidio la luce. Ho accostato un orecchio alla porta, per sentire se fuori i ragazzi facevano baccano. Non volevo che l’hotel si lamentasse. Non c’era nessun rumore. Poi ho saputo che in tanti erano stati svegli fino all’alba. Avevano girato per i corridoi, si erano ritrovati nelle stanze. Lei mi domanda se hanno bevuto e assunto droghe? Non sono in grado di rispondere. So che si sono mandati messaggi con Whatsapp.
L’ha fatto anche Domenico. Il suo ultimo messaggio risale alle cinque del mattino». E tra le cinque e le sei e mezza è avvenuto il decesso. Nel silenzio generale. Dell’albergo. E del liceo. «L’appuntamento per la colazione – dice Coppo, che alterna toni alti di voce, quasi urlando, ad altri nei quali la voce gli si spegne – era tra le sette e massimo le otto, le otto e un quarto. Abbiamo iniziato a mangiare. Sono entrati in sala quattro poliziotti. Uno ha domandato chi fosse il responsabile del gruppo. L’hanno invitato a seguirlo. Il responsabile era Boscardin. L’ho accompagnato. Fuori dall’hotel ci hanno mostrato dal cellulare la foto di un volto. Il volto di un ragazzo.
Lo abbiamo trovato cadavere, si è suicidato, ci ha detto un agente. Boscardin ha avuto un malore, si è poggiato a terra.
Sono rientrato. Mi sono messo a cercare quel ragazzo. Sapevo chi era ma era come se non lo sapessi. Non capivo, non capivo. Ho chiesto ai ragazzi se mancava qualcuno. I compagni di stanza di Domenico mi hanno detto che non l’avevano visto. Sono tornato fuori, ho guardato di nuovo l’immagine.
Ho detto ai poliziotti che era Domenico Maurantonio». L’incontro con il professor Coppo è avvenuto tra le 17,20 e le 17,40 di ieri. Inizialmente, l’insegnante era adirato per gli attacchi ingiusti, a suo dire, contro ragazzi per bene invece descritti come criminali che si starebbero coprendo. Poi, la rabbia ha ceduto al tormento, alla stanchezza. Forse all’impotenza. «Per tutta domenica siamo stati in Questura. Gli studenti sono stati rivoltati. Noi professori ci siamo messi a completa disposizione. Gli agenti non ci hanno mai abbandonato.
Nemmeno quando mi sono allontanato per un caffè. Com’è morto, Domenico? Glielo ripeto: lo ignoro. Certo che con il passare del tempo vengono dei dubbi. Potrebbe essere stato uno scherzo. E potrebbero esserci stati ragazzi che sono scappati. Che non hanno dato l’allarme. Eppure io chiedo: possibile che dei diciannovenni possano aver ingannato investigatori così esperti? Non ci sono assassini, all’Ippolito Nievo. E la mia non è una difesa d’ufficio. L’ho detto, ai ragazzi: se sapete e non avete ancora ammesso niente, fatevi avanti.
Non aspettate. Lo dovete a Domenico e a voi stessi».
Andrea Galli