Il Sole 24 Ore, 15 maggio 2015
L’effetto più visibile e benefico per i conti pubblici italiani dovuto al crollo dei rendimenti dei titoli di Stato è dato dal calo a picco del costo medio all’emissione del Tesoro, cioè il tasso d’interesse medio pagato nelle aste e nei collocamenti, ponderato per gli importi emessi: nei primi quattro mesi di quest’anno questo rendimento medio è sceso allo 0,77%, un primato assoluto, contro l’1,35% del 2014
Il Tesoro quest’anno si finanzierà sui mercati, per ripagare i titoli in scadenza e coprire il fabbisogno, raccogliendo 410-420 miliardi. Un’enormità, rispetto agli altri Stati europei. Ma molto meno che in passato. Se poi il Tesoro emetterà titoli sopra la pari, meglio ancora: un effetto ottico, ma anche l’occhio vuole la sua parte.
L’effetto più visibile e benefico per i conti pubblici dovuto al crollo dei rendimenti dei titoli di Stato, da inizio anno e senza tener conto della violenta correzione delle ultime settimane, è dato dal calo a picco del costo medio all’emissione del Tesoro, cioè il tasso d’interesse medio pagato nelle aste e nei collocamenti, ponderato per gli importi emessi: nei primi quattro mesi di quest’anno questo rendimento medio è sceso allo 0,77%, un primato assoluto, contro l’1,35% del 2014 (anche quello un valore senza precedenti). E un quinto rispetto al 3,61% del 2011, anno del picco della crisi del debito sovrano europeo.
La Banca d’Italia ieri ha evidenziato come la discesa dei rendimenti e il contestuale rialzo dei prezzi dei titoli di Stato abbia contribuito – tra altri fattori – a frenare lo scorso mese l’ascesa dello stock del debito pubblico. Il debito della Pa è aumentato a marzo di 15,3 miliardi, portandosi a 2.184,5 miliardi ma l’incremento «è stato inferiore al fabbisogno del mese pari a 18,6 miliardi grazie all’effetto complessivo dell’emissione di titoli sopra la pari, dell’apprezzamento dell’euro e della rivalutazione dei titoli indicizzati all’inflazione», solo i BTP€i indicizzati all’inflazione europea e non il BTP Italia indicizzato all’inflazione italiana. Come è possibile? Quando il Tesoro colloca in asta la tranche di un vecchio titolo con una cedola alta perchè legata a tempi lontani, come per esempio nell’asta dei BTP a 30 anni di questa settimana venduti in 4a e 5a tranche con cedola al 3,25%, il prezzo di aggiudicazione va sopra la pari: il trentennale in questione è stato venduto a 107,25. Il debito pubblico però aumenta per il valore nominale del titolo, che è 100: il Tesoro incassa di più, 107 invece dei 100 registrati sullo stock del debito, e quei 7 vengono utilizzati per coprire il fabbisogno senza aumentare lo stock del debito pubblico. In realtà, è un “effetto ottico”: perchè quello che non va sul debito viene comunque pagato da cedole più alte rispetto ai tassi prevalenti di mercato. Insomma, la regola è sempre quella: non ci sono pasti gratis sui mercati.
Gli altri due fattori che hanno tenuto a freno l’avanzata del debito pubblico di 3,1 miliardi, a fronte del fabbisogno, sono l’andamento dei cambi (che influisce sulla piccolissima quota di debito pubblico denominato in valuta estera ) e i BTP€i il cui capitale viene rivalutato in base all’andamento dell’inflazione e pagato in un’unica soluzione a scadenza.
Il debito pubblico, al di là di questi scostamenti minimi – che tengono anche conto delle disponibilità liquide del Tesoro – sale comunque inesorabilmente con le emissioni nette di titoli di Stato che rappresentano la raccolta del Tesoro per coprire il fabbisogno, al netto del rimborso dei titoli di Stato in scadenza.
Quest’anno i titoli di Stato a medio-lungo termine (BoT esclusi) in scadenza ammontano a 230 miliardi circa, un importo molto pesante rispetto ai 190 miliardi del 2014 e ai 160 miliardi del 2013. L’anno scorso, prima dell’annuncio del QE della Bce, l’annata in arrivo pesante per i titoli di Stato da rimborsare aveva impensierito il mercato, preoccupato dalla perdurante recessione. È una buona notizia quella delle emissioni lorde complessive quest’anno che scenderanno rispetto agli anni passati, a 410/420 miliardi come stimato dal Tesoro.
Il quadro è migliorato: l’Italia è uscita dalla recessione, anche se la crescita resta debole, il costo medio alla raccolta del Tesoro è ai minimi storici e il QE della Bce assicura una domanda e acquisti fissi di titoli di Stato (dai 2 ai 30 anni di vita residua) che assorbe le emissioni nette del Tesoro.
I mercati con lo spread e le agenzie di rating che mantengono l’Italia a livello di “BBB” o “A”debole guardano però soprattutto al debito/Pil, quel che più conta è il rapporto tra il debito e la creazione di ricchezza: quel che preme ai mercati, e soprattutto ai possessori dei titoli di Stato – ieri il dato della Banca d’Italia segnava ancora un rialzo nella quota dei titoli di Stato italiani detenuti da stranieri pari a 740 miliardi circa al febbraio 2015) – è la capacità del debitore di pagare puntualmente e integralmente il debito. Nel caso dello Stato debitore, i mercati si tranquillizzano quando la crescita è solida e rimpingua le casse pubbliche. E se, come nel caso dell’Italia, l’economia stenta a crescere allora i mercati si consolano quando lo stock del debito pubblico scende perchè il deficit viene azzerato e la spesa pubblica improduttiva viene tagliata.