Il Sole 24 Ore, 15 maggio 2015
Mario Draghi è stato molto chiaro: il Quantitative Easing sta funzionando. Il motore della crescita europea si è rimesso in moto. Ma esiste un freno: i politici europei continuano a pensare in modo nazionale ed indipendente, ma le loro azioni sono interdipendenti. Per cui si rischia di far inceppare una ripresa ancora timida ed acerba
Il Presidente della Banca centrale europea (Bce) Mario Draghi non poteva essere più chiaro: l’acceleratore monetario sta funzionando. Il motore della crescita europea si è rimesso in moto. Ma esiste un freno: i politici europei continuano a pensare in modo nazionale ed indipendente, ma le loro azioni sono interdipendenti. Per cui si rischia di far inceppare una ripresa ancora timida ed acerba.
Draghi ha colto l’occasione di una lezione al Fondo Monetario Internazionale (Fmi) per illustrare come la nostra banca centrale abbia affrontato la crisi macroeconomica che ha caratterizzato l’Unione, a partire dallo scorso anno. L’economia europea è entrata in un preoccupante ristagno perché si è bloccata la cinghia di trasmissione di ogni crescita economica: le aspettative. Il blocco della cinghia è stato molto grave, perché doppio.
Da un lato, si sono bloccate le aspettative di crescita economica. Se le aspettative di mercati ed operatori, grandi e piccoli, imprese, famiglie e banche, sono negative, si paralizzano i meccanismi dello sviluppo. Si paralizza la voglia di investire, di innovare e di lavorare, per cui tende a cadere la produttività. Si paralizza la voglia di spendere, per cui cadono consumi ed investimenti. Aumenta la paura ad indebitarsi o ad essere indebitato, o ad essere creditore di un indebitato, per cui si rafforza sia il ristagno dell’offerta che quello della domanda.
Allo stesso modo, e di conseguenza, sono progressivamente cresciute anche le aspettative di una cattiva disinflazione. La disinflazione può essere una buona cosa, se avviene in un contesto di crescita economica: i prezzi cadono, ma i redditi, effettivi ed attesi, aumentano, per cui l’intreccio è virtuoso. L’Europa ha invece vissuto un circolo vizioso: le aspettative di ristagno iniziavano ad alimentare anche uno scenario di continua caduta dei prezzi, che può alimentare un ulteriore atteggiamento depressivo; il Giappone insegna.
Ma se le aspettative sono depressive ed insieme deflazionistiche, l’Europa finisce di cadere – come è caduta – in una trappola della liquidità. Tutti gli operatori aumentano la loro avversione al rischio, e volano verso la liquidità, che tende sempre di meno a circolare, e sempre di più ad essere tesaurizzata. Tesaurizzano i consumatori, che non consumano; tesaurizzano le imprese, che non investono, e fanno solo finanza; tesaurizzano le banche, che non prestano.
Draghi ha ricordato come l’Europa sia caduta in una trappola della liquidità profonda, ed ha rivendicato l’azione della Bce volta ad affrontare la grave situazione macroeconomica, senza risparmiare qualche elegante e rapida stoccata a chi in questi mesi ha guardato con scetticismo alla possibilità che la politica monetaria possa far qualcosa, in una trappola della liquidità. La strategia messa in campo dalla Bce si è sviluppata in tre mosse: prima dell’estate 2014 la manovra dei tassi di interesse, fino a raggiungere il livello zero; poi, dopo l’estate, le operazioni non convenzionali di credito alle banche; infine, con il 2015, le operazioni non convenzionali in titoli pubblici sui mercati, la cosiddetta espansione quantitativa (Qe). L’obiettivo? Provare a raggiungerne due. Da un lato, colpire il meccanismo delle aspettative inflazionistiche, per evitare che si consolidassero le attese di segno inverso, cioè di disinflazione prima e di deflazione poi. Dall’altro lato, provare a contribuire a riparare il meccanismo della trappola della liquidità, facendo cioè in modo che le operazioni non convenzionali fossero in grado di fare quello che i tassi a zero non riuscivano ad ottenere: movimenti nei portafogli bancari e finanziari che trasmettessero l’espansione monetaria prima ai tassi a più lungo termine, poi auspicabilmente all’economia reale.
Draghi non ha sottaciuto i rischi che le espansioni monetarie prolungate possono procurare in termini di danni al regolare funzionamento dei mercati finanziari e reali. Ma sono rischi che rafforzano la necessità che in tempi brevi i germogli di ripresa si trasformino in una pianta adulta e matura, attraverso il solito meccanismo: aspettative, diffuse e robuste, non di ristagno, ma di una crescita economica stabile. Per sviluppare le aspettative di crescita però la sola politica monetaria non serve. Occorrono le riforme strutturali, in Europa – vedi unione bancaria e unione dei mercati dei capitali – come nei contesti nazionali. Draghi non ha citato i mittenti, ma non serve molta fantasia a capire chi sono.