Libero, 14 maggio 2015
La bolla sui bond finisce a luglio ma a settembre si tornerà a soffrire. L’offerta di titoli all’asta supererà di nuovo gli acquisti di Francoforte e, ancora una volta, i prezzi scenderanno e i rendimenti saliranno
La tempesta, almeno per ora, si è placata. Ieri, sul fronte delle obbligazioni di Stato, sono cessate le vendite degli ultimi giorni, che hanno fatto impennare i rendimenti dei Bund e, di riflesso, dei Btp. In sede di asta, i titoli italiani hanno fatto il pieno seppur a tassi in risalita: il Btp a sette anni è balzato a 1,31%, massimo da novembre, dallo 0,89% di metà aprile. Il titolo a 15 anni ha visto il tasso salire a 2,32%, dal minimo di 1,64% di metà aprile. Rallentano la salita i rendimenti dei Bund tedeschi: lo 0,65%, meno del picco di 0,80% toccato nei giorni scorsi ma assai di più dello 0,05% di poche settimane fa. Al di là della cronaca quotidiana, però, la sensazione è che si sia rotto il giocattolo che ha garantito il rialzo dei mercati innescato dal calo dell’euro e del petrolio e, soprattutto, dall’avvio del Qe. Ma le cose stanno proprio così? O ci saranno ancora occasioni per sfruttare il saliscendi dei Btp?
A prima vista l’aumento dei rendimenti potrebbe essere una buona notizia: alla radice dell’aumento dei tassi c’è la scommessa sulla ripresa dell’inflazione, a sua volta innescata dall’uscita dalla recessione. Peccato, però, che l’aumento dei tassi, vuoi del Bund tedesco che dei Btp, coincida con un calo delle Borse provocato dall’aumento del petrolio e, notizia ancor più brutta, dall’ascesa dell’euro, a tutto danno dell’export che già registra un rallentamento. Perché sale l’euro? I grandi speculatori Usa e giapponesi in questi mesi si sono indebitati in euro sfruttando i tassi bassi e hanno comprato invece azioni europee, Francoforte e Milano in testa. Oggi si assiste al fenomeno inverso. La speculazione chiude i prestiti, ricompra euro (così si spiega il rialzo della valuta nonostante la Grecia) e lascia i mercati europei, anche quelli obbligazionari. Ma per quanto tempo?
Presto la ruota girerà in senso inverso, prevede Pierre Olivier Beffy, capo economista di Exane Bnp Paribas, che ha dedicato una analisi all’impatto degli acquisti della Bce (60 miliardi al mese) sull’andamento dei titoli pubblici. La tesi è così semplice che sembra efficace: l’effetto Draghi è più sensibile quando cala l’offerta di nuovi titoli da parte degli Stati. Al contrario, quando viene meno l’offerta da parte del Tesoro degli Stati dell’Eurozona (dalla Germania in particolare) si diffonde «l’effetto scarsità» che nella sua versione più perversa ha provocato la discesa dei rendimenti dei titoli sotto zero. Vale la pena, perciò, di studiare il calendario delle emissioni in arrivo: quando l’offerta supera largamente l’importo degli acquisti della Bce è probabile che il valore dei titoli scenda mentre i rendimenti saliranno. E viceversa.
L’esito dell’analisi è sorprendente. «Ci attendiamo – si legge nell’analisi di Beffy – che i rendimenti dell’Eurozona tornino a diminuire a partire da giugno, cioè da quando il programma degli acquisti della Bce sarà nuovamente superiore alle emissioni nette di titoli di Stato di circa 8 miliardi a giugno e di circa 90 miliardi a luglio». Al contrario, a settembre si potrebbe verificare uno scenario simile a quello delle ultime settimane con una robusta crescita delle vendite (il temuto sell off) e nuova crescita dei rendimenti: l’offerta di titoli all’asta supererà di nuovo gli acquisti di Francoforte. Insomma, sulla dinamica dei prezzi influisce in maniera determinante lo squilibrio tra domanda ed offerta.
Con le aste di ieri l’Italia ha ormai raccolto il 49% di quanto previsto per il 2015. L’obiettivo, secondo voci ufficiose, è di emettere per l’intero anno titoli per 410-420 miliardi, in netti calo rispetto ai 455 miliardi del 2014. Quest’anno il Tesoro dovrà rimborsare circa 380 miliardi di euro di titoli in scadenza, meno dei 391 miliardi del 2014. La riduzione delle emissioni 2015 può contare, inoltre, sugli effetti del Qe che sta calmierando i rendimenti dei titoli di Stato, abbassando la spesa per interessi.