Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2015  maggio 14 Giovedì calendario

Dove corre di più la domanda di petrolio? A sorpresa, l’Europa batte la Cina. Si tratta del ritmo di crescita più forte da quasi vent’anni, addirittura superiore al rimbalzo che nel 2010 aveva seguito la Grande Recessione. Ma non basta a sostenere il mercato

Dove corre di più la domanda di petrolio? La risposta non è affatto scontata. I primato nel primo trimestre è infatti toccato alla vecchia Europa, che con un incremento del 3,9% dei consumi (a 13,52 milioni di barili al giorno nei Paesi Ocse) ha lasciato indietro persino la Cina. Si tratta del ritmo di crescita più forte da quasi vent’anni, addirittura superiore al rimbalzo che nel 2010 aveva seguito la Grande Recessione, osserva l’Agenzia internazionale per l’energia (Aie), che nel suo rapporto mensile ha messo in evidenza il fenomeno come «uno dei temi dominanti sui mercati petroliferi».
La sola Europa tuttavia non basta a modificare lo scenario, che per il greggio resta fortemente ribassista: la battaglia tra Opec e shale oil americano «è appena cominciata», avverte l’Aie, e la produzione – benché in lieve rallentamento negli Stati Uniti – a livello globale rischia di crescere ancora. Dall’inizio dell’anno l’offerta è rimasta stabile, attestandosi a 95,7 mbg ad aprile, ben 3,2 mbg in più rispetto allo stesso mese del 2014, e nel primo trimestre il surplus ha raggiunto 2 mbg, continuando a far crescere le scorte.
I consumi europei del resto equivalgono ad appena un settimo di quelli mondiali e in molte aree geografiche l’Aie non ha osservato lo stesso vigore. Inoltre il boom potrebbe afflosciarsi, perché è legato solo in parte alla ripresa economica e alla discesa dei prezzi dei carburanti: molto è dipeso dalle condizioni meteorologiche, spiega l’Agenzia, con un inverno più freddo dell’anno scorso che ha spinto i consumi di gasolio da riscaldamento.
«Nel breve termine i fondamentali del mercato appaiono ancora deboli», assicura l’Aie, che non ha modificato la previsione sulla domanda petrolifera globale: per il 2015 si attende una media di 93,6 mbg, con una crescita di 1,1 mbg. Si tratta comunque di un’accelerazione rispetto al +0,7 mbg dell’anno scorso e in particolare rispetto al minimo quinquennale del secondo trimestre 2014, quando l’incremento fu di appena 230mila bg, contribuendo a innescare il crollo delle quotazioni del greggio.
Il problema è che la produzione continua a correre. «Finalmente sembra che l’ascesa inarrestabile dell’offerta Usa stia perdendo intensità», osserva l’agenzia. Ma la recente ripresa del prezzo del barile potrebbe ridare fiato allo shale oil: «Molti produttori nelle ultime settimane si sono vantati di aver ottenuto forti riduzioni dei costi e nello stesso tempo sembra che l’hedging sia di nuovo aumentato nettamente, perché le compagnie hanno approfittato del rally per bloccare i profitti». Morale della favola: «Sarebbe prematuro suggerire che l’Opec ha vinto la battaglia per le quote di mercato. La battaglia al contrario è appena cominciata».
«Andando contro la tendenza globale Kuwait, Arabia Saudita ed Emirati arabi uniti stanno aumentando il numero di trivelle ed espandendo i programmi di perforazione – avverte l’agenzia dell’Ocse – Intanto Iraq e Libia continuano, a dispetto di ogni previsione, ad aumentare la produzione. E l’offerta dall’Iran è ai massimi da luglio 2012 (quando iniziarono le sanzioni, Ndr)».
Se l’Opec non accenna a frenare l’output (in aprile ha estratto 31,2 mbg), l’offerta non Opec è «sorprendentemente forte»: con il contributo di Russia, Cina, Colombia, Vietnam, Malaysia nel 2015 aumenterà di 830mila bg secondo l’Aie. Difficile quindi sperare in una significativa riduzione delle scorte, anche perché oltre a quelle di greggio adesso corrono anche quelle di prodotti raffinati (negli Usa in marzo sono aumentate, anziché diminuire come accade di solito).
Ieri le statistiche governative dagli Usa hanno riservato in realtà qualche sorpresa: oltre agli stock di greggio (giù di 2,2 mb) la settimana scorsa si sono ridotti anche quelli di benzine (-1,1 mb) e distillati (-2,5 mb), perché le raffinerie hanno bruscamente rallentato le lavorazioni. È arrivato però un altro dato inatteso: in North Dakota la produzione petrolifera è tornata a salire in marzo, sia pure solo di 15mila bg, sfiorando 1,2 mbg.