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 2015  maggio 14 Giovedì calendario

I radicali e l’asta dei feticci, dei cimeli e dei talismani organici, compresa piantina di cannabis di Rita Bernardini. E poi il maglione di Pannella, i poster: tutto per sopravvivere

Cosa non hanno fatto, i radicali, cosa non si sono inventati in sessant’anni di vita lunga e gloriosa, lacerante, esaltante e faticosissima, per garantirsi la sopravvivenza e ancor più l’indipendenza economica!
Oggi l’asta dei feticci, dei cimeli e dei talismani organici, compresa piantina di cannabis di Rita Bernardini; ma se la memoria degli archivi non inganna, sul finire degli anni ‘70 l’autofinanziamento casereccio in beni di pronto consumo venne inaugurato offrendo ai volonterosi sovvenzionatori un pasto cucinato dall’allora onorevole Mauro Mellini, grande avvocato e romano assai colto e gioviale, che si dilettava a mettere in tavola certe spaventose penne all’arrabbiata, già tristemente note negli ambienti della vecchia sede di Torre Argentina come autentiche bombe d’aglio, tali da rendere poi impossibile qualsiasi forma di convivenza, almeno da parte di chi non avesse partecipato delle pastasciutta melliniana. Mentre, anche qui sul piano dell’alimentazione, ma con qualche inevitabile riferimento all’offerta botanica di Bernardini, non rientrò in un progetto autofinanziatorio, dovendosi piuttosto alla pura cortesia di una vecchietta simpaticamente conosciuta come “Nonna Canapa”, quel vassoietto di dolciumi e biscottini recato nei primi anni ‘90 al gruppo parlamentare di Montecitorio, ma c’è chi dice di Palazzo Madama, comunque in un giorno di seduta e per giunta durante la discussione della normativa Vassalli-Jervolino. Tutti ne presero, ignari e non della funesta e ridanciana ricetta, parlamentari e funzionari, segretarie e aitanti assistenti pannelliani, con effetti pazzeschi e anche un malore in aula.
Inestinguibile, anche per la fantasmagoria rastrellatrice di quattrini puliti, resterà comunque la leggenda radicale; e da essa indistinguibile la teorizzata, ricercata, conclamata e addirittura simbolizzata povertà antipartitocratica che nel 1995 spinse addirittura diversi dirigenti a mostrarsi nudi sul proscenio del teatro Flaiano, mentre Pannella dietro le quinte e microfono in mano ci dava dentro evocando il profeta Isaia, «ci siamo fatti ricchi della nostra nuda povertà», eccetera.
E appelli di apocalittica risonanza, enormi sempiterne patacche con i numeri di conto corrente esibite sul petto nelle sporadiche comparse televisive, travestimenti folli, da conigli creditori come da gangster malfattori, lacrime monetarie, euforie mercantilistiche, banconote da diecimila (quelle del finanziamento pubblico) restituite per la strada con resse da far intervenire la polizia.
E poi ancora beni stabili e volatili, sedi, radio, stipendi, impegnati, venduti, ricomprati, sempre sul filo del rasoio, sempre tesorieri a rischio di farsi saltare le coronarie (e/o destinati a diventare acerrimi nemici o inconsolabilmente delusi), stringenti tattiche di “acchiappaVip” e artisti sfruttati all’osso per la causa, come pure miracoli alla Soros, esperimenti promozionali e di profetico telemarketing realizzati quando tutti gli altri erano ancora all’età della pietra.
Insomma di necessità, anche sul piano economico i radicali hanno fatto virtù, e anche questo spiega come mai sono oggi il partito più antico d’Italia, e anche il meno coinvolto in termini di scandali e ruberie.
Tra le poche cose che Marco Pannella ha scritto, ma pure tra le più belle e sorprendenti, c’è il racconto in prima persona di quando, come al solito sopraffatto dai debiti e invitato a cena dall’avvocato Agnelli, gli chiese dei soldi a patto di rendere pubblica la donazione. E anche a Roberto Calvi, come sa Francesco Rutelli, fu fatta la stessa proposta, ricevendone lo stesso rifiuto. A riprova, in fondo, che trasparenza, onestà e fantasia non sono parole vuote, ma pur con tutti i limiti della teocrazia pannelliana a volte suonano anche vive, e divertenti, e perfino efficaci.
La messa all’asta di questi giorni – iniziata ieri su www.astaradicale.it – non costituisce una novità. Semmai, è il vintage radicale che si va assottigliando. Quasi trent’anni orsono, nel 1986, furono venduti all’incanto l’amletico maglione girocollo nero di Pannella (per 350 mila lire, sebbene privo dello storico pendaglio “Make love, not war”), poi il giubbotto di pelle che indossava Enzo Tortora quando fu tratto in arresto (530 mila) e un paio di storici jeans di Emma Bonino su cui era scritto “Ne hanno viste di tutti i colori” (100 mila). La vendita destò allora un amaro e sprezzante corsivo dell’Osservatore romano. Come passa il tempo!