la Repubblica, 14 maggio 2015
A Cannes è arrivato il momento di Garrone, il primo dei tre italiani (con Moretti e Sorrentino) a contendersi Palme e affini con il suo film “Il racconto dei racconti”. Parla il regista: «Ho tradito la realtà per una fiaba dark, ma poi non ho dormito la notte»
Immigrati, drogati, suicidi, trafficanti di uomini, magistrati minorili, speculatori, vittime della crisi. A Cannes, da tutto il mondo, arriva il mondo sconnesso e drammatico contemporaneo. Ma oggi il Festival se lo prendono re e regine, orchi e mostri, magie e negromanti. In concorso a un Festival soprattutto d’autore, il film di un autore pluripremiato anche lì, dove fiaba e fantasy al massimo potrebbero essere “eventi” per avere quei divi che ormai non durano più di qualche film e subito li si dimentica. L’autore spericolato è il sempre spericolato Matteo Garrone, il primo dei tre italiani (con Moretti e Sorrentino) a contendersi Palme e affini, con il suo film (da oggi anche in Italia) Il racconto dei racconti. Accolto con applausi da una platea però divisa ieri sera alla prima proiezione per la stampa.
Perché una fiaba se il presente offre tante storie interessanti, che lei ha già affrontato brillantemente, come la camorra e il sogno plebeo di celebrità (Reality)?
«Il presente è ricco di un horror per niente fiabesco che la televisione macina ogni giorno, con immagini ripetitive che sfuocano la notizia, la fanno diventare insignificante dopo averci reso inquieti. Terrorismi, stragi, omicidi, guerra tra partiti e nei partiti: tutto negativo senza appello. Ho sentito il bisogno di ritrovare un po’ di umanità e verità nella fantasia: e niente è più fantasioso e vero delle fiabe. Il loro horror non ci spaventava neppure da bambini: se ne percepisce subito la riposante irrealtà».
Non ha pensato che andare con questo film grandioso e insolito a un Festival dove lei è comunque una star pluripremiata per la sua capacità di afferrare il contemporaneo, fosse un azzardo?
«Ci ho pensato molto, anche perché Il racconto dei racconti non è nato come film da Festival, ma come puro intrattenimento, per un pubblico popolare di oggi, come era quello del XVII secolo che amava il racconto orale delle fiabe, poi raccolte dal poeta cortigiano Giambattista Basile, da lui scritte in lingua napoletana popolana e antica. È ovvio che si può vivere senza Festival ma poi hanno deciso i produttori e mi sono lasciato guidare. Certo qualche notte non ho dormito, anche perché si tratta di una produzione costosa, 12 milioni di euro, di cui 2 solo per gli effetti speciali, che abbiamo affidato a specialisti italiani che lavorano all’estero».
La protagonista è la star Salma Hayek, che è anche moglie del dovizioso re della moda François Henri Pinault. Hanno collaborato finanziariamente al film?
«Assolutamente no. L’ha convinta la storia e anche l’idea di stare un po’ in Italia. È stata generosa e si è fatta pagare meno del solito. Vincent Cassel invece conosceva il mio lavoro e ha accettato subito».
Preferirebbe che la Palma d’oro andasse a un altro italiano, o piuttosto, con un po’ di italica gelosia, a un cinese, un americano, un greco?
«Ho fatto tennis agonistico quando ero molto giovane per la disperazione di mio padre che era il critico teatrale Nico Garrone e voleva che studiassi. Se in uno sport ti metti in competizione è ovvio che non ti basta partecipare, vuoi vincere. Ma nei Festival le dinamiche sono altre, dipende molto dal momento e dal gusto del momento. Sono contento che presidenti della giuria siano i fratelli Coen, mi piacciono molto e sono leali con gli italiani. Spero che tutti i film italiani siano accolti bene, perché il nostro cinema ha bisogno di autori».
Ha scelto attori stranieri perché i nostri non le sembrano all’altezza?
«Era impossibile girare il film nell’incomprensibile lingua napoletana antica usata da Basile. Abbiamo preferito attori stranieri per girare in inglese e rendere più facile la distribuzione all’estero del film. Ma poi gli attori sono bravi o pessimi a seconda del regista che li dirige. Io credo di aver fatto del mio meglio e ho la coscienza a posto».