14 maggio 2015
L’impresa della Juventus, in finale di Champions 12 anni dopo. La squadra di Allegri ha giocato meglio del Real nella doppia sfida della semifinale. Ha controllato la partita del Bernabeu reagendo allo svantaggio. La vendetta dolceamara di Morata, la delusione di Ancelotti (ormai vicino all’addio) e la rivincita del calcio italiano inaspettatamente sul tetto d’Europa
Sabato 6 giugno la Juventus giocherà a Berlino contro il Barcellona la sua ottava finale di Coppa Campioni/Champions della sua storia. La squadra di Allegri ieri sera è riuscita a difendere il 2-1 della semifinale di andata contro il Real Madrid, chiudende sull’1-1 il ritorno al Bernabeu. Al rigore di Cristiano Ronaldo nel primo tempo ha risposto Alvaro Morata nella ripresa.
Roberto Perrone: «Non è la partita perfetta, ma è una grande partita perché il gruppo bianconero non gioca benissimo, non è eccezionale né sul piano del ritmo né su quello della tecnica, però esce alla distanza, diventa insuperabile, coeso, imperturbabile quando occorre, al momento giusto, nell’ultima mezzora. Concede 23 tiri al Real Madrid, mai così tanti in tutte le competizioni di questo anno sociale 2014-2015, però solo 5 nel rettangolo dove Buffon monta la guardia, attentissimo» [Perrone, Cds].
Gianni Mura: «Juventus a Berlino. Juve qb. Quanto basta, que bonita. Nell’arco delle due partite ha giocato meglio del Real. Anche ieri. Anche se è andata sotto nel punteggio su un rigore ingenuo (Chiellini) ma innegabile. S’è visto nel secondo tempo di che pasta era fatta, dopo il pareggio di Morata. Marchisio e poi Pogba hanno fallito il 2-1 da facile posizione. Pur sbagliando molto in disimpegno, pur lasciando al Real lo sterile primato nel numero dei tiri in porta, la Juve ha avuto spunti di grande calcio. Non tutti, non tutti insieme, ecco perché ho usato la formula qb» [Mura, Rep].
Mario Sconcerti: «Non è un miracolo, la Juve gioca meglio del Real. Non molto, ma è sempre dentro la partita. Ronaldo non sa più conciliare la velocità con l’effetto, Bale è un equilibrista, bisogna che il calcio lavori per lui, difficile il viceversa. Questo è il punto: la Juve è una squadra, il Real no. La Juve sa maneggiare un risultato anche dentro una brutta partita, il Real no» [Sconcerti, Cds].
La Juve ha compiuto l’impresa senza un grandissimo apporto dei due più famosi: appannato Pirlo (uscito comunque tra gli applausi dei madridisti), vagante con poco costrutto Tevez. Gianni Mura: «Il centrocampo della Juve, pur con poco Pirlo, prima argina e poi sovrasta quello del Real. Merito di Marchisio, sempre lucido, che corre per due, di Vidal guerriero e generosissimo, di un Pogba cresciuto col passare dei minuti, fino a giganteggiare. Di sfuggita, da campioni come Cristiano Ronaldo si pretenderebbe una partecipazione più sudata e sentita. Un gol come all’andata, e che altro? Le partite non sempre si vincono col cartellino del prezzo al collo, o con i bilanci più grassi» [Mura, Rep].
Gigi Garanzini: «Alla fine dunque ha avuto ragione Allegri ancora una volta. Ma che fosse azzeccata la formazione iniziale, con Pirlo e Pogba insieme, si può discutere. Già sulla carta ne cresceva uno, per via di quel vecchio detto secondo cui è meglio un asino vivo di un dottore morto. Avendo sperimentato, nella sfida di sette giorni prima, che Sturaro è tutt’altro che un asino, la Juventus avrebbe probabilmente preso ben prima il comando delle operazioni a centrocampo. La difesa ha commesso un solo errore, quello di Chiellini sul rigore, ed è stata per il resto inappuntabile. Mentre in avanti uno splendido Morata, oltre che il gol decisivo ha fatto anche la parte di Tevez. Che magari si è risparmiato per la finale» [Garanzini, Sta].
Per Alvaro Morata, cresciuto nel vivaio del Real e ancora di proprietà del club spagnolo, è stata una doppia sfida molto particolare. All’uscita dal campo, il Bernabeu gli ha tributato più fischi che applausi. Giulia Zonca: «L’uomo è nostalgico, indole non certo rimpianti: “È una vittoria dal sapore agrodolce, per me sono state due partite durissime”. A Madrid ha lasciato un sacco di amici, in squadra e fuori, tanto che quando il sorteggio ha detto Real il suo telefono si è intasato. Cercavano biglietti, saluti, ricordi. Morata ha lasciato le incombenze alla famiglia e ha puntato dritto su Berlino. Nessuna distrazione, emozioni tenute rigorosamente sotto controllo. Conosceva la procedura: la folla in strada, i canti storici, il fantasma di Di Stefano. Era abituato alla liturgia da grande sfida in blanco, però non si è lasciato soffocare dall’ondata di memorie» [Zonca, Sta].
Carlo Ancelotti è deluso e il suo futuro al Real sembra segnato: «La società farà le sue valutazioni a fine stagione. Per quanto riguarda la partita di ritorno, è stata ben giocata con tutto lo sforzo possibile. Abbiamo preso un gol su rimpallo e palla inattiva, non devo rimpiangere niente, potevamo essere più fortunati e precisi nelle conclusioni. Se dobbiamo rimproverarci qualcosa, è per la sfida di andata» [Di Dio, Grn].
Mario Sconcerti: «Se a Madrid sono arrabbiati con Ancelotti, hanno ragione. Il Real è una squadra spezzata in tre parti dove non c’è una sola idea di gioco normale. Infinitamente meglio la Juve, umile, magra, decisa a inseguire anche quando sembrava difficile, una squadra diventata lentamente da vertice europeo perché intelligente, moderna, senza fuoriclasse ma anche senza il peso di aggettivi che comporta averne» [Sconcerti, Cds].
Undici milioni di euro. Sono il surplus di proventi economici che entreranno nelle casse bianconere dopo l’impresa di Madrid [Di Dio, Grn].
La Juventus torna così in finale di Champions League dopo 12 anni. Gianluca Oddenino: «La festa è doppia, dunque, e la voglia è tripla in una società che ha già vinto due volte la coppa più importante (1985 e 1996), sfiorando il tris nella finale tutta italiana del 2003. Quello è stato il punto più alto toccato dal calcio italiano, ma ora la Juve vuole rifarsi. Anche a livello storico, visto che in Germania ha già perso (a Monaco nel 1997 contro il Borussia Dortmund) e contro una squadra spagnola (il Real nel 1998) non è andata meglio» [Oddenino, Sta].
Un attimo dopo i tre fischi di Eriksson, Alessandro Del Piero già twittava: «Da Berlino alla B, dalla B a Berlino, grandissimi ragazzi». Matteo Gamba: «C’è il senso del viaggio, in quest’ultima trasferta della stagione che in realtà è la meta di un decennio intero, anche se poi colui il quale ha pilotato la squadra fino alla capitale tedesca (Morata) è un ragazzo nel 2006 aveva appena tredici anni, probabilmente tifava per Zidane e adesso che ne ha 22 soltanto (ne farà 23 a ottobre) già giocherà la seconda finalissima di Champions League della sua brevissima ma vincentissima carriera» [Gamba, Rep].
Massimiliano Allegri è il quarto allenatore della Juve a conquistare la finale dopo Vycpálek, il primo a riuscirci nel 1973 (contro l’Ajax di Cruijff che a Belgrado aprì il suo ciclo d’oro), Trapattoni (due disputate: la prima persa, la seconda vinta) e Lippi (quattro tentativi e un successo) [Oddenino, Sta].
Per Sconcerti «la Juve sul tetto d’Europa è un’anomalia non prevista da noi giornalisti esperti che, essendo esperti, tendiamo a dimostrare sempre il facile: che il campionato inglese è il più forte, che quello tedesco è il più organizzato, che quello spagnolo è il più spettacolare. Il campionato italiano non c’è, ci sono critici che, per andare all’estero, nemmeno lo vedono mai. La vittoria della Juve a Madrid significa questo, una piccola svolta enciclopedia, un nuovo alfabeto della qualità. Come dire che non solo la Juve è meglio del Real, ma anche che il Chievo non è peggio dello Schalke, e l’Empoli è forse alla pari con il Psv. Che possiamo finalmente interrompere questa lunga processione di battenti che abbiamo cominciato anni fa scambiando la crisi economica con la fine di un mondo» [Sconcerti, Cds].