il Fatto Quotidiano, 13 maggio 2015
Tra petrolio e sanzioni Mosca se la passa male. Si tratta di una classica crisi valutaria: vendita del rublo sui mercati finanziari, perdita di riserve, innalzamento progressivo del tasso di interesse fino all’ultimo notevole rialzo del 6,5 per cento alla fine dello scorso anno, che tuttavia non è riuscito a fermare la svalutazione del cambio aggravata dal crollo del prezzo del greggio sui mercati internazionali
L’agenzia Fitch ha abbassato il rating della Russia sui mercati internazionali, certificando, per quanto possa valere ormai il parere di tali agenzie, lo stato di grave crisi dell’economia russa. Si tratta di una classica crisi valutaria: vendita del rublo sui mercati finanziari, perdita di riserve, innalzamento progressivo del tasso di interesse fino all’ultimo notevole rialzo del 6,5 per cento alla fine dello scorso anno, che tuttavia non è riuscito a fermare la svalutazione del cambio aggravata dal crollo del prezzo del petrolio sui mercati internazionali. Durante tale processo, accelerato ed esploso a dicembre 2014, la fiducia dei cittadini russi nella propria moneta è diminuita e ha portato a un acquisto eccezionale di beni di consumo durevole in modo da proteggersi da un prevedibile aumento dei prezzi causato dalla svalutazione.
Non sorprendentemente questo peggioramento delle variabili monetarie si è riflesso sulla crescita reale che nell’ultimo trimestre è stata negativa e che, secondo stime convergenti, il prossimo anno sarà intorno al -4/ -5%.
Lo stato di salute dell’economia russa, peraltro, era già tutt’altro che soddisfacente. La bassa crescita che si era manifestata dopo la crisi del 2008 aveva chiaramente dimostrato l’esistenza di problemi strutturali e la necessità di avviare un processo di diversificazione produttiva, in modo da rendere la Russia meno dipendente dalla produzione ed esportazione delle risorse energetiche. Le sanzioni applicate dai Paesi occidentali dopo l’annessione della Crimea hanno aggravato la situazione tagliando fuori dai mercati finanziari internazionali le grandi imprese russe e le grandi banche russe, rendendo in tal modo molto difficile il rifinanziamento o il prolungamento del loro debito in valuta, iniziando così il processo di svalutazione del rublo.
Se poi l’economia russa fosse stata di fronte solamente alle conseguenze economiche delle sanzioni, la situazione sarebbe stata controllabile, ma il colpo di grazia è stato inferto dal crollo del prezzo del petrolio causato dalla decisione OPEC di non tagliare la produzione. Con il prezzo del petrolio attorno ai 50 dollari inevitabilmente la spesa pubblica sarà tagliata dato che circa metà delle entrate dello Stato provengono dall’imposizione fiscale sulle esportazioni energetiche, mentre l’attività generale della economia sarà più che frenata dall’innalzamento del tasso centrale della Banca di Russia, che dopo l’ultimo aumento ha toccato il 17% nel vano tentativo di frenare l’uscita di capitale e la conseguente svalutazione.
La Banca centrale russa è intervenuta poi per ricapitalizzare alcune grandi imprese, Rosneft in primis, e dovrà intervenire per fornire valuta alle imprese e alle banche indebitate sui mercati internazionali ai quali, a causa delle sanzione, non possono rivolgersi. L’unico intervento fuori dagli schemi è stato compiuto dal presidente Putin il quale ha fatto pressioni esplicite perché la valuta estera detenuta dalle grandi imprese venga riportata in Russia; per il resto la crisi è stata finora affrontata con una politica economica tradizionale, lasciando alla politica monetaria della Banca centrale il compito di fronteggiarla attraverso l’uso delle riserve valutarie e del tasso di interesse. Tale politica può avere successo se si verificano due condizioni: la prima è una diminuzione delle tensioni ucraine che porti a una riduzione delle sanzioni in marzo, quando tali misure devono essere ridiscusse. Una diminuzione delle sanzioni, soprattutto finanziarie, non potrebbe che avere effetti benefici sull’economia russa. La seconda condizione è costituita da un aumento del prezzo del petrolio intorno ai 70/80 dollari. Se queste due condizioni si verificassero, il tasso di cambio potrebbe stabilizzarsi intorno ai 70 rubli per euro e nella seconda parte del 2015 l’economia potrebbe cominciare a riprendersi.
Se questo non avviene e la Banca centrale deve continuare a intervenire sul mercato dei cambi per sostenere il rublo, arriverà il momento in cui sarà necessario introdurre un sistema di controlli sui movimenti di capitali, poiché le perdite di valuta diventeranno insostenibili e potrebbero impedire il salvataggio delle grandi banche e imprese russe indebitate all’estero. Finora il presidente Putin ha categoricamente escluso l’applicazione di tale misura, ma a Mosca è grande la discussione sulla politica economica finora condotta, politica economica che non ha portato a una stabilizzazione della situazione. Un aiuto notevole potrebbe venire dall’Unione europea se essa, staccandosi dagli Stati Uniti, abolisse le sanzioni in un gesto di autonomia economica e politica. D’altro canto, anche i Sauditi hanno bisogno di un prezzo del petrolio maggiore se vogliono avere il loro bilancio statale in pareggio, anche se le loro riserve sono più che abbondanti. È certo che una Russia in grave crisi economica non serve all’Europa, anche se come affermano alcuni studiosi americani un po’ disinvolti, la Russia rappresenta solamente il 2,5%-3 % del Pil mondiale. Vero, peccato che abbia tante testate nucleari.