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 2015  maggio 13 Mercoledì calendario

Con un dossier, la voce Boris Nemtsov torna ad accusare Putin di aver voluto e diretto la guerra in Ucraina. Tra battaglioni fantasma e armi acquistate «sul mercato clandestino», le 64 pagine del rapporto in formato A4 sono state stampate in poche migliaia di copie (dopo il rifiuto di tutte le tipografie della Russia) e distribuite sui siti Internet di opposizione immediatamente aggrediti e messi fuori gioco dagli hacker di Stato

La voce di Boris Nemtsov, ucciso a revolverate il 27 febbraio ai piedi del Cremlino, torna ad accusare Putin di aver voluto e diretto la guerra civile in Ucraina che è costata la vita di centinaia di soldati russi, ha fatto perdere un miliardo di euro alle casse dello Stato e messo in pericolo la pace in Europa. Le sue frasi, le sue definizioni taglienti dell’eterno rivale diventato presidente, riecheggiano da 64 pagine in formato A4 stampate clandestinamente in poche migliaia di copie dopo il rifiuto di tutte le tipografie di Russia e distribuite sui siti Internet di opposizione immediatamente aggrediti e messi fuori gioco dagli hacker di Stato. Una voce flebile ma carica di denuncia, nello stile polemico e allo stesso tempo metodico di Nemtsov con tanto di riferimenti, testimonianze, documenti originali. «E adesso le autorità ci dicano se Boris è morto per questo, per aver cercato di diffondere la verità», dice Ilja Jashin, giovane compagno di lotte e di galera dell’ex vice premier eltsiniano diventato leader e poi martire dell’opposizione. Per mettere insieme questo samizdat dell’era del web, i collaboratori di Nemtsov hanno lavorato proprio con lo schema con cui i dissidenti sovietici riproducevano i loro “scritti proibiti” da inviare oltre Cortina. Segretezza assoluta, riunioni clandestine, depistaggi per la polizia, pur di rielaborare gli appunti presi dal loro leader sin dall’inizio di gennaio. E adesso tentano, sempre su Internet una colletta per farne un libro vero e proprio, aiutati da un entusiasta («Bravissimi!!!») Aleksej Navalnyj, oppositore numero uno di Putin.
Suddiviso in undici capitoli e intitolato “Putin. La Guerra”, proprio come voleva Nemtsov, il dossier non contiene novità sensazionali ma è un preciso atto d’accusa che si regge sull’allineamento, una dopo l’altra, di voci mai confermate prima. «Putin dice al mondo che non ci sono soldati russi in Ucraina, poi invece a noi raccomanda di fare presto». La testimonianza del carrista russo Dorzhi Batomunkuev, ferito nella battaglia di Debaltsevo è forse la più indicativa. Tra le vittime russe della guerra del Donbass vengono documentati con nome, cognome e grado, 220 militari. Le loro storie confermano le tesi dei “battaglioni fantasma” azzardate da qualche giornale e poi dimenticate. Secondo lo schema “legalista” del Cremlino, i militari russi combattevano a titolo personale in periodo di licenza o addirittura dopo essersi dimessi dall’Armata. Le loro bare sono state restituite ai familiari con la generica definizione di “caduti in esercitazione”. Molti genitori hanno provato a chiedere premi promessi ai loro figli senza ricevere neanche una risposta. Dunque Putin non mente quando sostiene che il suo esercito non ha mai invaso l’Ucraina ma, secondo i dati del rapporto Nemtsov, è evidente la partecipazione “mascherata” di militari, ufficiali e funzionari di intelligence alla sollevazione dei russi di Ucraina.
Ma c’è di più. L’inchiesta dell’oppositore affronta anche un altro nodo delicato e scarsamente spiegabile: i ribelli sono apparsi dotati di armamenti di alta qualità, mezzi blindati, perfino dei famigerati missili “Buk” che il 17 luglio dell’anno scorso abbatterono un Boeing malese uccidendo 289 civili. La versione ufficiale del Cremlino è che quelle armi siano in parte bottino di guerra e che altre siano state acquistate «sul mercato clandestino». Affermazione facile da contestare e a cui Nemtsov aveva dedicato un intero capitolo intitolato “Il Voentorg (mercato militare) di Putin”.
Più vago resta invece il dossier sulla questione dell’aereo malese. I missili “Buk”, di fabbricazione russa sono in dotazione anche all’esercito ucraino. Le tante contraddizioni, di quelle ore, dei ribelli e delle autorità russe lasciano molti dubbi. Così come il dibattito sulle foto satellitari che dovrebbero rendere conto del piazzamento dei missili. Ma, a parte una generica dichiarazione della commissione di inchiesta internazionale che ancora non ha preso una decisione, il mistero rimane fitto.
Prevedibile la reazione del Cremlino che ha deciso di snobbare ancora una volta Nemtsov negando ogni commento al suo testo postumo. Jashin e gli altri membri del piccolo partito Parnas, contano di insistere e di raccogliere presto materiale sul dittatore ceceno Kadyrov, dichiaratamente presente nel Donbass con i suoi barbuti “volontari”. Intanto il comune di Mosca ha respinto la richiesta di dedicare alla memoria di Nemtsov il ponte sul quale è stato assassinato. La motivazione è impeccabile: la legge prevede che devono prima trascorrere dieci anni dalla morte. Salvo casi di eccezionalità che, evidentemente, non sono stati presi in considerazione.