la Repubblica, 13 maggio 2015
La Bce porta a 80 miliardi il tetto delle linee di emergenza a disposizione delle banche elleniche. Draghi regala un po’ di ossigeno alla Grecia ma questo è un meccanismo infernale. Un circolo vizioso che costringe il vicepremier Yannis Dragasakis ad ammettere: «Viviamo come Sisifo, costretti a portare la pietra in cima alla montagna solo per vederla poi scivolare a valle sull’altro crinale»
Mario Draghi regala un altro po’ di ossigeno alla Grecia. La Banca centrale europea ha deciso ieri di alzare di 1,1 miliardi a 80 miliardi le linee di emergenza a disposizione delle banche elleniche. In pratica l’ultimo canale di finanziamento rimasto ad Atene che non può chiedere soldi sui mercati (se non rinnovando titoli in scadenza) e non riceve prestiti dalla Troika dallo scorso ottobre. Non solo: il board di Eurotower ha rinviato la delicatissima decisione – sollecitata dai falchi nel suo consiglio – su un possibile taglio del valore delle garanzie messe sul piatto dagli istituti nelle richieste di liquidità a Francoforte. Scelta che avrebbe messo ko l’intero sistema creditizio nazionale accelerando la corsa verso il default.
Il ramoscello d’ulivo della banca centrale è però solo un zuccherino. Le casse di Atene sono vuote e – senza un accordo in tempi brevissimi con Bce, Ue e Fmi – il Governo Tsipras potrebbe avere problemi anche a pagare gli stipendi e le pensioni a fine mese. La prova più lampante delle difficoltà dell’esecutivo su questo fronte è la formula con cui è stato ripagato ieri un prestito da 760 milioni del Fondo Monetario. La scadenza è stata onorata grazie a 650 milioni messi a disposizioni dallo stesso Fmi, che ha consentito all’esecutivo di usare un deposito vincolato a Washington. Conto che dovrà essere in ogni caso ripristinato entro 30 giorni.
«Rischiamo di finire i soldi in due settimane», ha ammesso il ministro alle finanze Yanis Varoufakis. Il provvedimento di confisca della liquidità degli enti locali ha portato in cassa per ora solo 600 milioni. E la montagna del debito pubblico (318 miliardi, di cui 270 verso l’ex Troika) e delle sue scadenza obbliga ormai la Grecia a grattare il fondo del barile per onorare i suoi impegni. Senza riuscire peraltro a diminuire di un centesimo la sua esposizione con i creditori.
Il meccanismo di questa macchina mangiasoldi è infernale: la Bce aumenta le linee di emergenza alle banche (anche per coprire la fuga di capitali dai conti correnti) e le banche utilizzano questi soldi per comprare i titoli di stato – ormai lo fanno solo loro – o per finanziare gli enti locali che a loro volta devono girare i fondi allo Stato per poi farli tornare verso Fmi, Ue o Bce. Dei 240 miliardi di prestiti garantiti con i due piani di salvataggio solo l’11% è arrivato davvero ai cittadini ellenici secondo il think tank Macropolis. Il resto è servito a pagare i creditori, salvare le banche commerciali tedesche e francesi sfuggite ai guai della Grecia e a ricapitalizzare le banche nazionali. Un circolo vizioso. «Viviamo come Sisifo, costretti a portare la pietra in cima alla montagna solo per vederla poi scivolare a valle sull’altro crinale», ha detto amareggiato il vicepremier Yannis Dragasakis. Andrà avanti così fino a quando non si troverà una soluzione definitiva al suo debito.