La Stampa, 12 maggio 2015
Così il Real ha fatto epoca. E soldi. Per il 3° anno di fila è il club che più incassa al mondo Un marchio speciale e tutto iniziò con don Alfredo Di Stefano nel 1962
C’è una classifica che il Real Madrid non ha bisogno di rincorrere e nemmeno dipende troppo dal risultato di domani: nella lista dei ricchi i «blancos» stanno al primo posto ed è un potere che li fa sentire speciali. In campo non ci vanno i soldi, ma sapere di essere per il terzo anno consecutivo il club che incassa di più dà un senso di superiorità, quasi di vertigine. Anche per questo credono nelle rimonte complicate e difficilmente si arrendono.
La lista di Forbes ha riconfermato il Real come re del mercato, non quello dei giocatori, dove pure muovono una notevole mole di denaro, ma quello della gestione. Valore del marchio quasi 3 miliardi e nel 2015, nonostante la Decima, leggerissima flessione. Colpa dei diritti tv, fino a qui divisi in pratica tra Real e Barcellona con 140 milioni a testa solo per la Liga, destinati a scendere quando la vendita diventerà collettiva come ha stabilito il governo. Proprio il motivo per cui il calcio spagnolo potrebbe mettersi in sciopero a partire dal prossimo weekend.
La forza del brand
Lo strapotere del brand ha radici lontane. I giocatori del Real hanno iniziato presto a essere icone. Il primo contratto pubblicitario personale risale al 1962, un temerario spot di Alfredo Di Stefano ritratto fino al busto (con marchio della camiseta in vista) vicino l’ammiccante slogan: «Se fossi una donna...» e sotto le gambe di una modella con il nome del collant. All’avanguardia tanto che il presidente Santiago Bernabeu fece ritirare le foto e pretese che le 175.000 peseta ricevute (una fortuna per l’epoca) fossero devolute in beneficenza. Già i dirigenti di allora scoprirono che entrambe le mosse, la pubblicità e i soldi trasformati alle opere di bene, contribuivano a diffondere il nome del Madrid. In quella stagione Di Stefano era onnipotente, proprio in una partita contro la Juve al Bernabeu fece cambiare la maglia alla squadra italiana. Il Real era sotto di un gol e sosteneva che il nero integrale scelto dalla Juve si confondesse con gli arbitri. Di Stefano all’intervallo pretese che i rivali mettessero la seconda maglia del Madrid, quella viola. L’imposizione del brand era nel Dna.
Il segno dei Galattici
Il valore del club ha subito diverse oscillazioni, nel 2000 avevano 240 milioni di debiti, uno sprofondo da cui sono usciti riportando lo stadio al livello delle 5 stelle Uefa e lavorando sul marchio. Galattici non per caso, come spiega l’esperto di marketing sportivo Oscar Del Santo: «Ogni acquisto non è solo un giocatore, è un icona. Solo così la base si allarga di continuo: da quella dei soci, quasi 100mila, a quella dei sostenitori sparsi per il mondo». Più di 85 milioni di persone seguono gli aggiornamenti social e oltre la metà interagiscono e comprano. Per Del Santo questo è il vero motivo per cui il Real ha raggiunto un valore astronomico: «Coltivare il tifo è la nuova frontiera. Esiste pure un’università del Real Madrid, dove insegno, che forma al marketing sportivo. Tutto è studiato». Alunni di oggi e specialisti nel catturare paganti domani. Una catena continua che si basa sulla necessità di comprare crac a ripetizione. Ma come ha ricordato oggi Ronaldo (non Cristiano, Nazario): «Il calcio ha bisogno di più campioni di quanti ne circolino».