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 2015  maggio 12 Martedì calendario

Giovani al potere, così l’Arabia Saudita risponde alle minacce di Teheran. Il nuovo re Salman, incoronato appena tre mesi fa, ha fatto la sua rivoluzione di palazzo, scegliendo attorno a sé principi e alti funzionari che hanno tra 30 e 50 anni, in un Paese abituato a essere gestito da una classe politica ottuagenaria

François Hollande, nuovo idolo delle petromonarchie della Penisola arabica? Il 4 maggio scorso, per la prima volta nella sua storia, un summit straordinario del Consiglio di cooperazione del Golfo, costituito da Qatar, Emirati arabi, Bahrein, Kuweit, Oman e Arabia Saudita, ha accolto nella persona del presidente francese un capo di Stato straniero. Hollande, sia detto per inciso, arrivava dal Qatar, dove aveva appena firmato un contratto per la vendita di 24 aerei da caccia “Rafale”. Ebbene, al summit è stato accolto come un eroe da quegli Stati del Golfo che non ne possono più dell’amministrazione Obama, colpevole ai loro occhi di voler riammettere nella comunità internazionale il loro storico nemico, Teheran.
Ma è soprattutto l’Arabia Saudita a interpretare come una sfida il ritorno nel consesso delle Nazioni dell’Iran, Paese di 80 milioni di abitanti, la cui una popolosa e sofisticata classe media, una volta tolto l’embargo economico, potrebbe subire profondi cambiamenti pro-occidentali. Ed è per affrontare questa sfida che il nuovo re Salman, incoronato appena tre mesi fa, ha fatto la sua rivoluzione di palazzo, scegliendo attorno a sé principi e alti funzionari che hanno tra 30 e 50 anni, in un Paese abituato a essere gestito da una classe politica ottuagenaria.
Il monarca saudita ha nominato ministro dell’Interno suo nipote, il cinquantacinquenne principe ereditario Mohammed Ben Nayef, e ministro della Difesa suo figlio, il trentenne Mohammed Ben Salman, nella speranza che quest’iniezione di giovane linfa politica possa migliorare l’efficacia e la modernità delle scelte del Regno. Dopo il suo colpo di mano, il monarca saudita ha però bisogno del più ampio consenso politico possibile, perché il prezzo del petrolio non è mai stato così basso e perché l’importante deficit dello Stato lo costringe a ricorrere alle riserve accumulate in passato per nutrire una popolazione giovanissima e in forte espansione demografica.
Ora, anche in Arabia Saudita lo Stato islamico fa sempre più emuli tra i giovani disoccupati, soprattutto quando mette in dubbio la legittimità religiosa del re saudita in quanto “guardiano dei due luoghi santi”, con cui usurpa un ruolo destinato al Califfo Ibrahim di Mosul. Il predecessore di re Salman, suo fratello Abdallah, aveva lasciato mano libera a chi finanziava le brigate dello Stato islamico per accelerare la caduta del presidente siriano Bashar Al Assad, alleato degli ayatollah. Ma oggi l’Arabia è a sua volta minacciata da quelle brigate, come lo è da Teheran, perché alle sue frontiere combattono i ribelli yemeniti houti, appartenenti a una setta sciita e anch’essi sostenuti dall’Iran. Per fronteggiare il pericolo alle sue porte, Riyad s’è dunque messa alla testa una coalizione militare sunnita con cui ha lanciato una potente offensiva aerea, senza però ottenere successi decisivi sul terreno.
Nel frattempo Al Qaeda nella Penisola arabica ha stretto alleanza con lo Stato islamico e ne ha approfittato per prendere il controllo di vaste aeree dello Yemen. Stretta tra l’incudine iraniana e il martello jihadista, l’Arabia ha dovuto riconciliarsi con i suoi rivali sunniti di ieri, il Qatar e la Turchia, grandi sostenitori dei Fratelli musulmani egiziani. Perciò, mentre al Cairo il maresciallo Al Sisi reprime nel sangue la Fratellanza musulmana con l’avallo saudita, a Riyad si è giunti alla conclusione che sia impossibile lottare contro tre nemici alla volta. E che per svincolarsi dalla trappola dell’Is e dell’Iran bisogna reintegrare nelle fila sunnite i Fratelli musulmani.
Questa difficile congiuntura si produce nel momento in cui l’America, alleata di sempre dell’Arabia saudita, ma stanca dei suoi incontrollati eccessi salafiti, fa gli occhi dolci a Teheran nella speranza di riuscire a pacificare il Medio Oriente. Ecco perché re Salman ha chiamato al potere una nuova generazione di politici e intronizzato Hollande nuovo eroe occidentale. Vedremo le conseguenze di queste scelte al summit americano con i Paesi del Golfo che si apre domani. Ieri, intanto, il monarca saudita ha fatto sapere che non si renderà a Washington né a Camp David. In segno di sfida, invierà i due principi Mohammed, suoi successori al trono.