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 2015  maggio 12 Martedì calendario

La Val D’Aosta tra Francia e Italia. Ecco perché è una regione a Statuto Speciale

Ho appreso casualmente che al termine della Seconda guerra mondiale, il generale De Gaulle pretese a tutti i costi che la Valle D’Aosta fosse annessa alla Francia come «bottino di guerra». Non conosco le motivazioni per le quali invece la predetta regione rimase territorio italiano, sebbene regolata da Statuto speciale. Poiché mi auguro che presto qualcuno dei nostri governanti «prenda a mano» l’annoso problema delle regioni a Statuto speciale (che ci costano 18 miliardi di euro l’anno), le chiedo se, a suo giudizio, alla Valle D’Aosta potrebbe essere tolta la qualifica di regione a Statuto speciale qualora venisse ridisegnato l’assetto statale della nostra repubblica.

Paolo Buldrini

Caro Buldrini,
Quella che le è stata raccontata è la versione sommaria di una vicenda che si svolse nell’arco di tre mesi, dal marzo al giugno del 1945. Negli ambienti politici e militari francesi vi era certamente il partito di coloro che avevano messo gli occhi sulla Valle d’Aosta e avrebbero volentieri regolato i conti con l’Italia facendone un dipartimento della Francia liberata. Quando la Wehrmacht dovette ritirare le sue truppe dalle Alpi occidentali per rafforzare il fronte meridionale, un corpo militare francese entrò nella Valle e cercò di favorire la nascita di un partito «annessionista» a cui sarebbe spettato il compito di promuovere un referendum popolare sulla sorte della regione. Il disegno fallì per almeno tre ragioni.
Non tutti, a nord delle Alpi, desideravano ristabilire i rapporti italo-francesi, dopo la fine del conflitto, con una mossa ostile. Francia e Italia avevano problemi comuni e un evidente interesse ad affrontarli congiuntamente. Giuseppe Saragat, ambasciatore a Parigi dall’aprile del 1945, aveva lungamente vissuto in Francia durante il fascismo, conosceva bene gli ambienti socialisti del Paese che lo aveva ospitato e seppe fare un buon uso delle sue amicizie politiche.
La reazione dei valdostani fu meno calda del previsto. La classe dirigente della regione – Alessandro Passerin d’Entrèves, primo prefetto di Aosta dopo la guerra, lo storico Federico Chabod, primo presidente dell’Assemblea regionale – avevano radici risorgimentali a cui non intendevano rinunciare. La borghesia, i professionisti e gli artigiani diffidavano di un Paese, la Francia, che aveva tradizioni centraliste ed era poco incline a riconoscere le particolari esigenze delle sue regioni periferiche. Dopo la fine del regime fascista, speravano di ottenere nella nuova Italia un maggiore rispetto per la loro individualità.
Il fattore decisivo, comunque, fu la posizione degli Stati Uniti. Quando Parigi rifiutò di traferire la Valle d’Aosta al comando militare alleato, il presidente Truman, irritato, minacciò d’interrompere i rifornimenti di carburante alle forze francesi.
La vicenda della Valle d’Aosta fu rapidamente dimenticata. In una Europa distrutta e umiliata, le «sorelle latine» avevano interesse a non pestarsi i piedi. Vi fu, è vero, la cessione di Briga e Tenda alla Francia nel trattato di pace nel 1947. Ma si trattò di un episodio minore, molto meno grave di quanto sarebbe stata la perdita della Valle d’Aosta. Non è difficile comprendere, caro Buldrini, perché i governi italiani non abbiano alcuna intenzione di rimettere in discussione l’autonomia della Valle d’Aosta.