La Stampa, 11 maggio 2015
Le ex centrali nucleari prese d’assalto. Il 16 e il 17 maggio verranno aperte al pubblico per la prima volta e fanno il tutto esaurito: i 3000 posti disponibili on-line sono andati esauriti in un giorno e ci sono 600 persone in lista d’attesa
L’Italia non utilizza energia nucleare autoprodotta ormai dal 1987, anno di chiusura delle quattro centrali (Caorso, Garigliano, Latina e Trino) che avevano operato sul nostro territorio dagli Anni Sessanta. Ciononostante rimane fra le dieci massime potenze industriali del mondo, a dimostrazione che dell’energia dell’atomo si può fare a meno (come dimostra anche il caso Giappone, ormai da un anno e mezzo senza centrali nucleari funzionanti e non per questo ripiombato nel Medioevo), e senza subire incidenti. Ma gli italiani che non vivono vicini alle centrali le hanno ormai dimenticate, non tenendo presente che il ciclo di quegli impianti sarà chiuso definitivamente soltanto quando quei siti saranno riportati a «erba verde».
Latina
L’impianto di Latina fu costruito nel 1964 dall’allora Agip nucleare che utilizzò un reattore a gas e grafite di ideazione britannica. Prima della sua chiusura (nel 1987) la centrale ha prodotto 26 miliardi di kWh e al suo interno sono rimaste in attività le sole manovre indispensabili alla dismissione. Le barre radioattive sono state inviate in Inghilterra per il riprocessamento delle scorie cosiddette di III categoria (quelle che restano radioattive per decine di migliaia di anni). Ha sempre avuto problemi di funzionamento, come del resto le sue sorelle.
Garigliano
La centrale del Garigliano (a Sessa Aurunca, in provincia di Caserta) ha avuto malfunzionamenti fino dalla nascita nel 1964, tanto che fu arrestata definitivamente nel 1978 a causa di un grave guasto, ben prima della moratoria del 1987. Non solo: la piena del fiume Garigliano la inondò nel 1980, liberando nelle campagne residui radioattivi di cesio e cobalto che poi finirono in mare.
Trino
Trino Vercellese ha funzionato meglio, tanto che si ricorda il record di 322 giorni continui di produzione elettrica senza intoppi e senza rilasci di radioattività. Ma le alluvioni del Po (quella del 1994 e quella del 2000) hanno rischiato di raggiungere le 47 barre di combustibile esauste che si trovavano ancora là.
Caorso
A Caorso, sempre sul Po, era stata impiantata la più moderna e la più grande fra le centrali nucleari italiane (860 MW). Ha prodotto più energia di tutte (29 miliardi di kWh) e conserva parte del materiale combustibile nelle piscine di decadimento. Il reattore «Arturo» è tuttora in «custodia protettiva passiva». Le 4 centrali italiane avevano quasi 1.500 MW di potenza installata per un parco nucleare che non ha mai contribuito in modo significativo al fabbisogno energetico nostrano. Dismetterle totalmente costerà ancora quasi 4 miliardi di euro, probabilmente entro il 2035 (undecommissioning che paghiamo in bolletta).
Tutto esaurito
Il 16 e il 17 maggio, per la prima volta nel nostro paese, tutte le ex centrali verranno aperte al pubblico, che le ha letteralmente prese d’assalto: i 3000 posti disponibili on-line sono andati esauriti in un giorno e ci sono 600 persone in lista d’attesa. D’incanto sono scomparsi problemi di sicurezza che costituivano il principale tabù, ma soprattutto si è rovesciato il paradigma culturale: non si può essere trasparenti solo quando c’è un problema, bisogna che tutti gli impianti industriali siano scatole di vetro per quel che concerne gli impatti ambientali e sociali, solo così si potrà recuperare un rapporto di fiducia che, nel caso nucleare, non è stato mai neppure tentato prima. Questo è un punto di cruciale importanza anche ai fini dell’imminente ubicazione del sito per il deposito unico nazionale dei rifiuti radioattivi, che non riguarderà il materiale più delicato, ma che provocherà opposizioni non sempre argomentate e spesso preconcette.
I rifiuti
Produciamo ogni anno decine di tonnellate di rifiuti radioattivi da ricerche scientifiche e terapie mediche, dove li sistemeremo, visto che per ora sono confinati in depositi temporanei o, addirittura, restano nei sottoscala degli ospedali? Tre questioni non possono essere eluse: 1) il problema esiste e non si può fare finta di niente; 2) non può essere demandato ai posteri; 3) non può essere rimbalzato ai paesi poveri sostanzialmente corrompendoli, né consegnato in toto ai paesi ricchi attrezzati pagando prezzi elevatissimi. È necessario un grande momento di dibattito pubblico, che deve chiudersi con una precisa assunzione di responsabilità perché non è più tempo di assensi prezzolati o dissensi ignoranti.