La Stampa, 11 maggio 2015
Nel cimitero dei carri sovietici nel campo di addestramento dell’esercito afghano di Kunduz. Lì dove le nuove reclute se la devono vedere con i talebani nella consueta offensiva di primavera
«L’ordine è partito questa notte, abbiamo inviato unità tedesche nella zona di Kunduz, in supporto alle forze afghane». La notizia ci arriva per bocca del colonnello Wolfgang Köhler, uno dei responsabili del Comando Nord della missione Nato che opera in Afghanistan. Siamo a Camp Shaheen, dove opera il 209oCorpo d’armata dell’Esercito afghano. Ed è qui che, in coincidenza della consueta offensiva di primavera, i taleban hanno ripreso gli scontri, cingendo d’assedio la città di Kunduz. Una scelta singolare, che forse sottintende un cambio di strategia, dal momento che il Nord dell’Afghanistan è sempre stato uno dei distretti meno colpiti dalle offensive dei guerriglieri del Mullah Omar. Tutto ciò a pochi mesi dall’inizio della nuova missione Nato, «Resolut Support Mission», che ha preso il posto dell’Isaf, spostando il baricentro dei compiti dell’Alleanza da attività «combat», ovvero offensiva, a quella di «Training-Advise-Assist», e che vede una riduzione di uomini da oltre 100 mila a circa 12 mila. In sostanza si tratta di preparare le forze di sicurezza afghane a difendersi in autonomia dalla guerriglia interna che i taleban stanno portando avanti da oltre 13 anni, ovvero da quando l’Alleanza a guida Usa ha invaso il Paese in risposta agli attentati dell’11 settembre 2001.
Camp Shaheen è uno dei centri dove si formano le forze afghane (esercito, polizia nazionale e locale) che, probabilmente già alla fine del 2016, dovranno provvedere autonomamente alla sicurezza del Paese. Ci spostiamo con le truppe Nato in questo fazzoletto di terra, prossimo al confine con Uzbekistan e Turkmenistan, in elicottero e aereo, sorvolando gli altopiani afghani e le cime innevate che separano il resto del Paese. Da Camp Marmal, sede principale del contingente tedesco, ci spingiamo ancora più su, a Camp Shaheen appunto, vicino a una vecchia base sovietica, e non lontano da un sito che sino a qualche anno fa era utilizzato dalla Cia. Le attività di addestramento si svolgono in diverse strutture, tra cui la Regional Corps Battle School, una sorta di scuola di guerra dove si imparano le attività dell’arte militare, tre settimane di lezione teorica e sei settimane di attività pratica su un campo di addestramento che si trova alle spalle di un cimitero di carri-armati sovietici. Chiediamo al colonnello Ahmad Ullah Miakhil, comandante della scuola, se ci sono stati cali nel reclutamento. «Assolutamente no – ci dice – anzi con le recenti azioni dei taleban si è innescato un senso patriottico, e nel caso il dipartimento della Difesa dia il via libera, siamo pronti a reclutare anche donne». Tuttavia, la scadenza prevista della missione (non ancora ufficiale) per il 2016 qualche pensiero lo crea: «Speriamo di aver supporto più a lungo».
Il contingente italiano
L’auspicio del colonnello Miakhil trova una sponda tra gli stessi militari tedeschi, i quali spiegano che, per quanto li riguarda, i tempi previsti non permettono di raggiungere risultati ottimali in termini di addestramento, anche «se daranno il massimo contributo sino all’ultimo giorno». Del resto i numeri su scala nazionale qualche riflessione la impongono, visto che le «casualties», ovvero morti e feriti tra le fila delle forze di sicurezza afghane, sono del 70% superiori all’anno passato. Il generale Mohammad Karimi, capo di Stato maggiore della Difesa, tiene a puntualizzare che l’esercito da parte sua ha registrato un aumento di un solo 7-8%, e questo «tenendo in considerazione il fatto che le truppe alleate non hanno più funzioni offensive, è un risultato sul quale è possibile costruire un futuro».
Il numero è superiore invece per quanto riguarda le forze di polizia nazionale, ma ancor più locale. Lo conferma il ministro degli Interni, Noorulhaq Ulumi: «La polizia nazionale è in prima linea, è ben equipaggiata e sta crescendo in termini di abilità, ma quella locale è meno addestrata e ci sono anche problemi di abilità tattica e di disciplina, ed è su questo aspetto che dobbiamo lavorare».
A Ovest del Paese, nella provincia di Herat, prosegue intanto l’impegno del contingente italiano. Le operazioni sono ora gestite dalla Brigata Julia (comandata dal generale Michel Risi), brigata che è «al suo quarto mandato nel Paese», puntualizza il generale Paolo Ruggiero, Chief of staff di Rsm, il quale spiega che gli italiani «hanno una certa dimestichezza con il teatro in cui operano e che di fatto queste attività di training e assistenza agli afghani le hanno sempre svolte». Ma per quanto dovrà proseguire l’impegno per i militari italiani? Ce lo dice il generale John Francis Campbell, capo supremo della missione Nato in Afghanistan. «Ho chiesto all’Italia di mantenere l’attuale impegno per tutta la stagione dei combattimenti, questo vuol dire almeno sino a ottobre. Dopo inizierà la riduzione del contingente e delle attività, e se non ci saranno cambiamenti significativi, si potrà finalizzare il disimpegno entro l’inizio del prossimo anno».[fra. sem.]