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 2015  maggio 08 Venerdì calendario

Le elezioni più incerte della storia della Gran Bretagna si sono concluse con la vittoria dei conservatori. Il partito di David Cameron ha la maggioranza assoluta in Parlamento e gli indipendentisti dell’Snp hanno messo le mani su 56 seggi

  «Ho visto la regina e formerò un nuovo governo. Questa è la vittoria più dolce» (David Cameron).
 
Le elezioni più incerte della storia della Gran Bretagna si sono concluse con la vittoria dei conservatori, mentre intorno si dimettono dalla guida dei rispettivi partiti il leader dei Labour Ed Miliband, del Partito per l’indipendenza del Regno Unito Nigel Farage, e quello dei Libdem Nick Clegg [Rep 8/5/2015].
 
«Una sorpresa ma non troppo in una Gran Bretagna dove l’economia è in crescita e borsa e sterlina volano. C’è chi vive peggio di cinque anni fa dopo i tagli al welfare, ma i laburisti non hanno saputo dare un messaggio chiaro ai loro elettori e non li hanno convinti con la proposta di una politica troppo radicale. Fin qui il Labour ha vinto solo con la linea riformista blairiana» [Franchini, Rep 8/5/2015].
 
Il partito di David Cameron, come previsto dai risultati degli exit poll, ha la maggioranza assoluta in Parlamento. Sul totale di 650 seggi ne ha ottenuti 326 assicurandosi quindi il numero sufficiente per diventare il partito di maggioranza del Paese [Rep 8/5/2015].
 
Gli avversari del partito laburista lo seguono a distanza con 228 seggi finora conquistati. In genere sono necessari 326 seggi per costituire un governo di maggioranza, ma dato che i parlamentari di Sinn Feinn non ne hanno preso alcuno, il limite è in pratica sceso a 323. Il Partito nazionale scozzese, che in queste elezioni ha portato a casa un risultato sorprendente, si piazza in terza posizione con 56 seggi conquistando un vantaggio storico sui liberaldemocratici, che sono riusciti a portare a casa appena otto seggi [Rep 8/5/2015].
 
«E all’improvviso la vecchia, posata Gran Bretagna sembra come l’Italia» (Questo il commento a firma di Will Marshall sulla Cnn per via dei numerosi partiti).
 
«La paura e l’ingiustizia hanno vinto. Il liberalismo ha perso. Ma ora più che mai dobbiamo continuare a lottare». Così Clegg, che già dalla prima mattina aveva definito «crudele» la notte elettorale per il suo partito e nel suo discorso di dimissioni ha detto che il voto è stato un «colpo devastante» [Fog e Rep 8/5/2015].
 
Ed Miliband si è dimesso assumendo la “piena responsabilità” della sconfitta elettorale al voto politico britannico di ieri. «È tempo che qualcun altro prenda la guida del partito», ha detto ai suoi sostenitori. Le sue dimissioni avranno effetto dopo le commemorazioni di oggi per la fine della seconda guerra mondiale. Prenderà il suo posto Harriet Harman, sino a quando un successore sarà eletto.
 
Poco prima dell’annuncio di Miliband anche Nigel Farage, leader di quell’Ukip che fino a pochi mesi fa doveva essere la grande rivelazione di queste elezioni, ha salutato [Fog 8/5/2014].
 
Miliband ha perso perché i Laburisti sono stati schiacciati da scozzesi e Ukip. L’Snp ha sottratto tutti i seggi scozzesi, tradizionale roccaforte labour. La Scozia infatti non perdona a Miliband la campagna elettorale anti-indipendenza. Diverso il fattore Ukip: i flussi elettorali ci dicono che molti elettori laburisti nelle zone più disagiate hanno votato Ukip lasciando campo libero ai conservatori. Miliband ha perso anche perché pur essendo chiaro il messaggio della sua campagna (lotta alle diseguaglianze sociali) i dettagli socio-economici della sua agenda erano tutt’altro che esplicativi. Molti liberi professionisti e artigiani e madri di famiglia dicevano: ma ci alzerà le tasse? Non lo scopriranno mai  [Simoni Sta 8/5/0215].
 
Cameron ha vinto perché i britannici hanno scommesso sul futuro. E gli hanno voluto dare altri cinque anni per portare a termine la sua agenda economica e sociale. L’economia va bene, la disoccupazione è ai minimi dal 2008, l’inflazione ferma (non dato che fa bene a lungo andare, ma per ora ha i lati positivi). Il Regno Unito è un paese solido, che attrae investimenti, fa girare il business. Ed è attrattivo per tutti. Il suo modello multietnico è tutt’altro che in crisi. Cameron ha vinto perché è riuscito, pur facendo una campagna elettorale mediocre e spesso priva di passione (tranne che negli ultimi giorni) a convincere gli inglesi che questa è la strada giusta [Simoni Sta 8/5/0215].
 
Cameron ha ribadito il programma del suo partito che «rappresenta un solo regno, uno Stato unito, da est a ovest, da nord a sud».
 
Oltre che di Cameron queste «sono le elezioni della Scozia, gli indipendentisti dell’Snp mettono le mani su 56 seggi e fanno vittime eccellenti nei seggi del Nord. La sorpresa ha il volto di Mhairi Black, 20 anni [sta 8/5/2015], diventata la più giovane parlamentare del Regno Unito dal 1667.
 
Il Telegraph riporta che nel 1667 fu eletto a Westminster un tredicenne, Christopher Monckton.
 
La giovane Mhairi, che usa Twitter da quando ha 14 anni, è riuscita a strappare lo scranno a un consumato laburista come Douglas Alexander, ministro ombra degli Esteri e cavallo (finora) vincente con una lunga carriera politica alle spalle. È riuscita a totalizzare oltre 23mila voti, una valanga, nonostante prima del voto avesse fatto una terribile gaffe assicurando che odia i Celtic. Una specie di bestemmia per moltissimi scozzesi [Huffington post].
 
Ora per la dama rossa signora Nicola Sturgeon, 44 anni, numero uno dell’Snp comincia il difficile. Governare la truppa a Westminster. Ci sarà un’infornata di neofiti modello “cinquestelle” due anni fa. La mancanza di esperienza potrebbe costare cara. Ma questo è un problema di domani. Nicola ha vinto. Il Regno Unito è meno saldo [Sta 8/5/2015].
 
 
«Faremo il referendum per decidere se restare fuori o dentro l’Europa» (David Cameron).
 
«Con Cameron a Downing Street ci sarà il referendum ma non enfatizzerei troppo. La maggioranza dei britannici è favorevole all’Europa, a patto che l’Europa dia segnali di volersi riformare e sburocratizzare» (Lord Peter Mandelson) [Cavalera, Cds]
 
«L’Ue cercherà di venirgli in contro. Un nuovo appeasement, dunque. Ricco di insidie e dall’esito non scontato. L’Unione, potere morbido, farà il possibile per proteggere la natura europeista di Cameron. Anche se non é detto che funzioni. Risultato? Aspettiamoci due anni di dibattito sul tema “Brexit e non Brexit”, il che farà probabilmente perdere tempo all’Europa, la quale farà attenzione a non disturbare Downing Street per evitare di perdere un partner importante e, nonostante tutto, amato. Rischio paralisi assai probabile» [Zatterin Sta 8/5/2015].
 
«In caso di vittoria dei no, per l’Italia si profilano uscite aggiuntive per quasi 1,4 miliardi di euro in termini di contributi al budget Ue per compensare quelli del Regno Unito (8,64 miliardi nel 2014) che verrebbero meno. A stimarlo sono la Fondazione Bertelsmann e l’istituto di ricerca economica Ifo, che prevedono, nello scenario peggiore, una perdita netta di 300 miliardi di euro per la Gran Bretagna tra 2018 e 2030 e impatti notevoli anche sul prodotto interno lordo tedesco e su quello di Irlanda, Lussemburgo, Belgio, Svezia, Malta e Cipro» [Fat 8/5/2015].
 
La Banca d’Inghilterra, incerta dell’esito delle elezioni, aveva fatto piani per difendere la sterlina sui mercati [Franceschini, Rep].
 
I mercati hanno accolto l’esito con soddisfazione, la sterlina si è impennata verso i massimi delle ultime settimane contro dollaro ed euro, il Ftse è schizzato dell’1,7%, ulteriore conferma che il mondo del business temeva la vittoria dei laburisti [Maisano, S24 8/5/2015].
 
«Il risultato del voto sgombra infatti il campo dal timore di un aumento delle tasse sui redditi alti, visto che Cameron ha garantito un blocco delle aliquote fino al 2020, e dà ai conservatori la forza di proseguire nell’attuazione del piano di austerità solo lievemente ammorbidito nel 2014. Per i cittadini si profilano dunque nuovi tagli alla spesa, a partire dai sussidi sociali per i disoccupati. Unica eccezione la sanità, visto che il premier ha di recente promesso di “stanziare più fondi e aumentare lo staff di dottori e infermieri destinati al National health service”. Non stupisce che questo pacchetto piaccia ai mercati, visto che il risultato è stato una ripresa del pil, salito lo scorso anno del 2,8%, e una discesa del tasso di disoccupazione al 5,6 per cento. Il tutto, però, a fronte di conti pubblici che Bruxelles, se Londra facesse parte dell’Eurozona, boccerebbe senza appello: il deficit è a quota 5,6% del prodotto interno lordo» [Fat 8/5/2015].
 
L’affluenza alle urne è stata un po’ più alta di cinque anni fa, intorno al 70%. E la campagna elettorale è continuata praticamente anche mentre si votava, con tutti i leader che inviavano commenti e messaggi agli elettori: «Si sono registrate lunghe code di elettori, in alcuni collegi, a pochi minuti dalla chiusura. In città come Norwich, si è giunti a dover fare un’ora di fila per poter votare. I dati sull’affluenza nazionale non sono ancora noti» (Il Guardian) [Fat 8/5/2015].
 
«Non fate qualcosa di cui vi pentirete» (Tweet di Cameron di ieri)
 
I bookmaker hanno ricevuto una puntata insolitamente alta, 50mila sterline (70mila euro), sulla vittoria laburista. Oggi sappiamo con certezza che quello scommettitore si è pentito [Franceschini, Rep].
 
Il 18 maggio si riunirà la nuova Camera dei Comuni. Il 27 la Regina presenterà al Paese il programma del suo governo. Era stata ventilata la possibilità che le intenzioni dell’esecutivo fossero affidate alla baronessa Stowell, presidente della Camera dei Lord, ma ieri il portavoce di Elisabetta ha fatto sapere che la Regina non si sottrarrà all’impegno [ Paola De Carolis, Cds 8/5/2015].
 
Ieri Cameron aveva cancellato la festa della notte elettorale.
 
Conservatori e laburisti non sono più, da tempo, i protagonisti assoluti della politica. Naturalmente si tratta di un fenomeno non solo britannico, se è vero per esempio che in Germania cristiano-democratici e socialdemocratici rappresentavano fino a pochi anni fa oltre i due terzi dell’elettorato e oggi si spartiscono ormai soltanto poco più della metà dei consensi. Anche se l’Economist spacca il volto di Cameron e quello di Ed Miliband, colorando una metà di rosso e l’altra di blu, i programmi elettorali dei due partiti hanno provocato perplessità trasversali sul fronte dei rapporti con l’Europa e su quello dell’economia. Lo stesso endorsement del settimanale, che ha scelto il primo ministro uscente e si è espresso per un proseguimento della coalizione a guida conservatrice, è sembrato più nutrito di dubbi che di certezze. 
 
«La crisi finanziaria ha accelerato il distacco dai due grandi partiti e trasformato i dubbi dell’elettorato in una malattia cronica. L’unico rimedio, visto come possibile, è la delegittimazione della classe politica dirigente. Poi, la politica si è molto personalizzata. Il cittadino non sceglie sulla base di programmi, di identità sociali o di classe. Seleziona, come se fosse in un negozio, il volto, la bellezza, il vestito. La sostanza purtroppo non conta più, o quasi»(Peter Mandelson, labourista per dodici anni, ora Lord) [Cavalera, Cds 8/5/2015].
 
Alla vigilia delle elezioni i sondaggi indicavano una parità che favoriva Miliband nel gioco delle possibili alleanze. Gli exit poll hanno dato ai conservatori del premier uscente David Cameron ben 316 deputati [Farina Cds].
 
La storia 23 anni dopo ha ripetuto il copione. Nel 1992 Neil Kinnock, leader laburista, arrivò all’election day certo della vittoria. I sondaggi ciccarono, e pure gli exit poll. Mentre Kinnock brindava a Londra al successo, l’Inghilterra cambiava colore. Alla fine John Major vinse con uno scarto del 7,5%. E restò Primo ministro. Tutti gli istituti di ricerca hanno sbagliato previsioni. Scrive il Guardian: «Pessimi Exit Poll, ma quanto è seguito dopo è stato un disastro per la sinistra» [Sta 8/5/2015].