la Repubblica, 8 maggio 2015
Zio Gregory, il boss di Pianopoli che a New York pasteggiava con «un rene e un pezzo di cuore». Così l’ndragheta è finita nella Grande Mela. Un colossale giro di narcotraffico che si celava dietro una pizzeria è stato sventato in una maxioperazione congiunta, tra polizia e Fbi: «I calabresi hanno scalzato i siciliani». La nuova geografia mafiosa
C’è un’intercettazione che spiega meglio di altre di che pasta è fatto Gregorio Gigliotti, newyorkese d’adozione, “zio Gregory”, come lo chiamano ancora oggi a Pianopoli, paesino in provincia di Lamezia da cui è partito 30 anni fa. Questa. «Ti ricordi una volta che ti ho detto…che allo stesso tavolo ho mangiato un soffritto…mi sono mangiato un rene e un pezzo di cuore». Organi umani. «Gesto plateale di oltraggio alla vittima», annotano gli investigatori. È il 26 agosto 2014, l’uomo ritenuto dalla Polizia e dall’Fbi il cardine del narcotraffico tra Costarica, Stati Uniti e Calabria, è arrabbiato con il suo contatto italiano con le ndrine. Pensa di farlo fuori, per quell’ammanco di 20mila dollari nei conti della cocaina. La moglie, Eleonora Lucia, quasi si sente male al pensiero. «Perché tu sei mezzo pazzo, Grè…mi fai venire il “rovescio” (vomito, ndr)», gli risponde.
Ecco chi è Gregorio Gigliotti, ristoratore di 59 anni che a New York è finito sotto processo insieme alla moglie e al figlio Angelo (sono stati arrestati l’11 marzo). In Italia, ieri, la polizia ha catturato tutti i suoi referenti calabresi che compravano e gestivano l’arrivo in Europa di tonnellate di coca proveniente dal Costarica, stipata nei cartoni di ananas e manioca. Tredici persone, tra cui il compaesano di Pianopoli Franco Fazio (candidato consigliere comunale alle prossime elezioni di Lamezia con la lista del Cdu) e i fratelli Carmine e Francesco Violi, imparentati con la potentissima cosca degli Alvaro. L’indagine è coordinata dai pm Nicola Gratteri e Paolo Sirleo della Dda di Reggio Calabria, con gli uomini dello Sco di Renato Cortese e la squadra mobile reggina. Lo “zio Gregory”, fino a poche settimane fa, era un insospettabile. Calabrese emigrato a New York negli anni Ottanta, incensurato. Ha una pizzeria, “Cucino a modo mio”, sulla 108esima strada, nel Queens. Sulla stessa via, si trova il locale “Park Side” di Anthony Federici, detto “Tough Tony”, underboss dei Genovese, una delle storiche famiglie mafiose della Grande Mela, insieme ai Lucchese e ai Gambino. Gigliotti comprava e vendeva droga per tutti. È amico di Federici, condividono lo stesso avvocato (per la scarcerazione ha proposto una cauzione di 4 milioni di dollari). La ‘ndrangheta, ormai è un fatto, ha cacciato i siciliani di Cosa Nostra dalla piazza di New York. «Sono i calabresi a comandare il narcotraffico – ragiona un investigatore – è alla porta di uomini come Gigliotti che le famiglie bussano per fare business con gli stupefacenti». Gigliotti tiene i contatti con il cartello sudamericano. Ha referenti in Colombia, Costarica, Olanda, Spagna. Non senza rischi.
«Mi hanno sparato sulla casa, lo sai tu? Li hanno mandati da là che gli devo centomila…mi stanno bombardando», si lamenta con uno dei suoi sgherri, dopo che i narcos gli avevano fatto capire col piombo di non gradire ritardi nel pagamento. Nel suo ristorante l’Fbi ha trovato 100mila dollari, 6 pistole, un fucile e chili di cocaina. Stava progettando – secondo gli inquirenti – il duplice omicidio dei fratelli Franco e Pino Fazio. «Devono sparire questi due – lo sentono dire – bruciati dentro l’acido». È un violento, lo zio Gregory. «Se mi dice “me li sono presi io” (i dollari dell’ammanco, ndr)…bum bum…lo scarico a terra, lo pisturiu». Dopo trent’anni negli Stati Uniti non ha perso l’accento calabrese. I suoi tre figli, Angelo (anche lui arrestato), Andrea ed Eleonora sono nati in America, ma in Calabria è ancora un’“autorità”. Lo invitano a un ricevimento di nozze il 23 agosto scorso. Lui, mezzo ubriaco, chiama la moglie a New York: «La persona della ‘ndrangheta deve stare serio... lo sgarro... i complimenti, tutti mi vogliono, tutti sanno (chi sono io) e sono venuti». Dalla sua pizzeria nel Queens, a pochi isolati da Flushing Meadows dove si giocano gli Open di tennis, ha movimentato dal 2009 tonnellate di polvere bianca, imbarcata a San Jose sui container con i cartoni di frutta destinata alla “Fresh farm produce export corporation”, la società di comodo di cui è titolare. Le ultime partite di droga, 64 chili, vengono intercettate dall’Fbi alla fine dello scorso anno. Poi lo arrestano. Ma la geografia mafiosa di New York è cambiata: i siciliani non contano più, ora ci sono i calabresi.