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 2015  maggio 07 Giovedì calendario

Angiolillo, ritratto della "Signora dei segreti" che ignorava le lettere del figlio segreto. In un libro Candida Morvillo e Bruno Vespa raccontano la sovrana indiscussa dei salotti, la regista dei fili invisibili del potere romano

Corriere della Sera
Per molti anni a seguire Maria ricevette nuove cartoline di auguri di compleanno dal figlio segreto ma non gli rispose mai. Non poteva soffrire, non voleva riaprire un capitolo chiuso». La storia, tragicamente autentica, ha il sapore del romanzo d’appendice con un retrogusto di tragedia greca. 
Una madre abbandona il piccolo figlio lasciandolo al padre dopo una lite quasi di maniera, per aprire una nuova pagina della vita. Il figlio, anni dopo, scopre di non essere orfano come aveva sempre creduto e rintraccia la donna. Ma lei, contraddicendo tutti i luoghi comuni sugli istinti ancestrali, dopo un gelido incontro, lo allontana quasi con ostilità, lo cancella, non vuole rivederlo né risentirlo, nonostante le insistenze di quel figlio riemerso dal passato, e le sue tante lettere rimaste senza risposta. «Per non soffrire», sussurra lei agli amici. In realtà, costruendo un monumento all’egoismo. 
Il libro di Candida Morvillo e Bruno Vespa «La signora dei segreti. Il romanzo di Maria Angiolillo. Amore e potere nell’ultimo salotto d’Italia», che esce per Rizzoli (480 pagine, 20 euro), nasce dall’incontro tra Bruno Vespa (che totalizzò 51 presenze nelle serate Angiolillo entrando nella «top five» con Gianni Letta), quindi perfetto testimone di ciò che avvenne a quelle tavolate tra Prima e Seconda Repubblica, e Candida Morvillo, che con le sue inchieste su Io Donna scoprì nel 2012 l’esistenza del figlio segreto, Udo Maria Gregory Franck de Beurges, ricostruendo poi il giallo dei gioielli scomparsi dopo la morte di Maria Angiolillo nell’ottobre 2009, contesi tra i figli delle prime nozze di Renato Angiolillo e il primo figlio di Maria Girani, Marco Bianchi Milella, Un tesoro valutato duecento milioni, sparito dalla cassaforte (murata dietro un quadro, come in un thriller). Soprattutto, c’era il mitico diamante rosa «Princie», un’altra tessera del mosaico ritrovata durante l’inchiesta, un tempo appartenuto alla Maharani di Baroda, 34,65 carati, battuto all’asta da Christie’s nell’aprile 2013 per 39 milioni di dollari. Il tutto al centro di una lite tra eredi di cui fa adesso parte anche lui, il misterioso figlio segreto, che ancora cerca la madre nelle donne che sposa. 
Il libro (che sarà presentato a Roma il 18 maggio alle 18 a Palazzo Wedekind in piazza Colonna e a Milano il 20 maggio a Rizzoli Galleria alle 18.30) può essere letto in molti modi. Per esempio come una storia del costume socio-politico italiano del dopoguerra, partendo dai salotti milanesi primi anni 50 dove la giovane Maria Girani – futura moglie e infine vedova di Renato Angiolillo, fondatore de Il Tempo – incrociava il proprio destino con quello di Wanda Osiris, Luchino Visconti, Indro Montanelli e Gaetano Afeltra, approdando alla Roma dei principi, dei cardinali, degli industriali e degli avventurieri (molto eloquenti e dettagliate le pagine sulla stagione della loggia P2) soprattutto della politica, che fece del suo Villino Giulia incastonato nella scalinata di Trinità dei Monti un crocevia di accordi segreti, intrighi, amicizie e amori, persino di inchieste giudiziarie. 
Ma può essere anche affrontato come una autentica banca-dati della storia repubblicana per la fluviale quantità di personaggi, aneddoti, trame, intese politiche, materiale riportato con meticolosa attenzione per il dettaglio. Nelle pagine ti puoi imbattere indifferentemente in Silvio Berlusconi e in Gianni Agnelli, in Andreotti e nella principessa Isabelle Colonna, in Henry Ford II e nel cardinal Camillo Ruini (minacciato da Maria Angiolillo al telefono di depennamento dall’elenco dei commensali se non avesse confermato lì, all’istante). E ciascuno ha uno spazio per il racconto del carattere, delle abitudini, dei modi. Vista l’umile partenza da un appartamentino nella periferia milanese della Ghisolfa e l’arrivo al piano più alto della high society nostrana come indiscussa sovrana dei salotti di Roma – per non dire del figlio segreto e di un’accusa di bigamia – un tempo si sarebbe parlato della biografia di un’avventuriera. 
In realtà il libro ricostruisce una clamorosa, irripetibile avventura in un’Italia ormai consegnata alla storia. Tranne che per quei gioielli da duecento milioni, per quel diamante rosa, capitolo giudiziario apertissimo a qualsiasi conclusione. 
Paolo Conti

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il Fatto Quotidiano
Prima che i salotti diventassero un format televisivo e i politici dessero sempre più filo da torcere alle loro imitazioni, per più di mezzo secolo c’è stato in Italia chi aveva reso i suoi pranzi privati uno strumento di potere occulto ma decisivo, una punta di diamante di quel “capitalismo di relazione” che Matteo Renzi, almeno a parole, vorrebbe radere al suolo. Selezione rigorosa, rituale prussiano, esiti impenetrabili. Era l’esatto contrario del talk show-acquario, il salotto romano di Maria Angiolillo, di cui Candida Morvillo e Bruno Vespa ripercorrono vita e avventure in La signora dei segreti (Rizzoli), da oggi in libreria. Non una biografia in senso stretto, piuttosto una narrazione romanzesca, a cui peraltro la vita della signora si presta perfettamente, dove vediamo muoversi, agire e parlare il gotha del potere italiano degli ultimi sessant’anni.
Ultima di cinque figli, Maria Girani nasce a Pavia nel 1921 e nel secondo dopoguerra comincia a lavorare come modella nella scuderia della stilista Gigliola Curiel; si innamora di un giovane aviatore, esattamente come in un romanzo di Liala, ma al contrario di quelle eroine non si vorrà sposare, pur tenedosi “il figlio della colpa”. Per sé ha in mente un altro romanzo, non esattamente rosa. Nei turbolenti anni di apprendistato, dopo un matrimonio con un conte franco tedesco e un secondo figlio segreto, nella Montecarlo degli anni Cinquanta, Maria conosce Renato Angiolillo, fondatore e direttore del Tempo di Roma, gran giocatore e tombeur de femmes. Tra tante amanti, all’ormai sessantenne ex senatore serviva una moglie di rappresentanza, in grado di prendere la regia della sua rete di pubbliche relazioni. Sposando la Girani nel 1960, testimone di nozze l’allora presidente del Consiglio Fernando Tambroni, non poté fare scelta migliore.
Grand commis, cucchiai d’argento e lunghi coltelli: la geometria dei 36 ospiti
Da quel momento nel Villino Giulia degli Angiolillo, a due passi da Trinità dei Monti, comincia a passare un mix calibratissimo di aristocratici, diplomatici, politici, giornalisti, grand commis, banchieri, prelati (da monsignor Marcinkus al segretario di Stato Agostino Casaroli, che usava impartire la benedizione). La Democrazia cristiana la fa da padrona con tutte le sue correnti; nel 1964 si incontrano a un pranzo Fanfani e Andreotti per la prima e ultima volta; pochi giorni dopo cadrà il governo Moro, pugnalato tanto dai fanfaniani quanto dagli andreottiani. Cucchiai d’argento e lunghi coltelli: ai tre tavoli per 36 invitati si fanno e si disfano governi, si concludono affari, si nominano direttori di giornali: un desco magico dalla circonferenza variabile, larghe intese e maglie strette perché, dice Jean Cocteau, “La politica vera è come il vero amore. Si nasconde”. Ma il cerchio si stringeva dopo cena, quando Maria sospingeva in un salottino privato l’ospite di maggiore riguardo. Fuori dalla porta, nel salottino cosiddetto “dei sigari” finché Gianni Agnelli non sentenziò che fumare era fuori moda, venivano smistati i questuanti che, a turno, necessitavano di due chiacchiere riservate con il pezzo da 90. I segretari della Dc Flaminio Piccoli e Arnaldo Forlani divennero autentici specialisti del salottino dei sigari grazie alla loro capacità di non esporsi mai veramente. “Sgusciano come anguille”, si lasciò sfuggire la padrona di casa; e d’altra parte, Forlani stesso le aveva confidato che una volta un cronista gli aveva rimproverato una certa vaghezza. “Segretario, non sta dicendo niente”; e lui, senza fare una piega: “Ah sapesse, carissimo, potrei andare avanti così per ore.”
Il sistema Angiolillo sopravvive alla morte di Renato (1973) con la nomina alla direzione del Tempo di Gianni Letta, il giovane protegé di bottega che Maria riuscì a far prevalere sulla candidatura di Montanelli. Alcuni pranzi diventano a pagamento, su richiesta di imprenditori e manager del Nord interessati a entrare in contatto con il potere romano. Tra costoro ci sono anche Angelo Rizzoli ma soprattutto Roberto Calvi e Bruno Tassan Din, che dalla fine degli anni Settanta diventano protagonisti assoluti; quando nell’81 gli elenchi della loggia di Licio Gelli diventano pubblici e parte la commissione d’inchiesta, quello della Angiolillo verrà bollato come “il salotto della P2”. Nelle audizioni l’agente del Sismi Francesco Pazienza parlerà di un “Comitato di gestione Calvi che non lo lasciava avvicinare, e la presidente del comitato era Maria Angiolillo”. La sessantenne vedova capisce che “a frequentare bene si rischia sempre qualche guaietto” e da quel momento teorizza che fra gli ospiti non dovrà mai mancare il ministro della Giustizia.
Detto fatto, durante gli anni Ottanta passano già tutti: Mino Martinazzoli, Virginio Rognoni, Giuliano Vassalli. Ma ogni precauzione si rivelerà inutile quando l’inchiesta Mani Pulite fa strage, insieme alla classe politica, anche degli habituée del Villino. Dopo Tangentopoli anche per la Angiolillo sembrava arrivato il momento di appendere il salotto al chiodo. E invece, alla metà degli anni Novanta torna in auge; Francesco Bellavista Caltagirone, rientrato in Italia dopo la revoca del fallimento dell’Italcasse, si affida a Maria per rinverdire i suoi contatti, le passa una sorta di stipendio, ne diventa una sorta di vicemarito platonico. Berlusconi si attovaglia con parsimonia (lui ha in testa altre cene eleganti), ma nel carnet di Maria i nomi vanno da Giuseppe Consolo (recordman con 70 presenze) a Franco Frattini, da Claudio Scajola a Maurizio Gasparri, da Pier Luigi Bersani a Fausto Bertinotti, da Lamberto Dini a Gianfranco Fini, da Giulio Tremonti a Massimo D’Alema. Umberto Bossi per l’occasione compra il suo primo abito blu e si attarda a sproloquiare in giardino di civiltà celtica finché il monologo non viene spento dalla partenza dell’irrigatore automatico, che innaffia lui e sveglia Bruno Vespa che nel frattempo si era appisolato. La stanchezza fa brutti scherzi.
Le stoccate sui ritardatari e le cadute nella fontana in giardino
Nel giardino, ogni tanto, qualcuno cadeva nella fontana filo-pavimento; divenne leggendario il tuffo involontario del giudice Renato Squillante. Di Prodi si racconta che una volta abbia sbagliato giorno e si sia trovato davanti la signora in vestaglia. Non ci fu un secondo invito. La geografia del potere, più ballerino dei bei tempi della balena bianca, doveva essere aggiornata di continuo, con l’affanno di rimpiazzare gli ospiti che disdicevano all’ultimo. “Quante volte è mancato Rutelli (per febbre)?”, appuntò un giorno la signora nel suo diario dei pranzi. Oppure: “Quel pancione di Spadolini, pallone gonfiato, non è venuto”. Franco Marini che “non viene e avvisa alle venti“si becca un “buzzicone”. Tra i giornalisti vince a mani basse Bruno Vespa (che per scrivere La signora dei segreti ha dato fondo ai suoi appunti) seguito da Stefano Folli, Carlo Rossella, Pierluigi Magnaschi, Antonio Di Bella; nessuna presenza invece per Vittorio Feltri e Paolo Mieli, mentre Giuliano Ferrara va una sola volta ma da ministro dei Rapporti con il Parlamento.
Degno delle grandi cortigiane di Otto e Novecento il cerimoniale. Gli inviti di Maria, preceduti da una telefonata e poi da lei scritti a mano, arrivavano tramite un fattorino. La puntualità era di rigore. Arrivare in ritardo rispetto alle 21.15 significava quasi sempre il cartellino rosso perpetuo; il solo abilitato a presentarsi a qualsiasi ora era Gianni Letta, ma lui al villino Giulia era di casa. Nell’arte del placement Angiolillo dava il meglio di sé. Agli ospiti più importanti il tavolo uno, gli altri in ordine decrescente al due e al tre. L’invitato di maggiore riguardo sempre alla sua destra, il secondo ospite più importante alla sua sinistra. A ogni tavolo almeno un ministro e le persone che la signora vuole mettere in contatto vengono elegantemente disposte distanti per evitare accostamenti sfacciati. Par condicio sentimentale, ovvero rari inviti per le mogli (“Occupano un posto”), nessuno per le amanti (“Da me non si fanno pettegolezzi); solo qualche bella donna piazzata ad arte – perché anche la bellezza femminile è potere, come il potere maschile è bellezza – scelte tra le poche dotate anche di personalità, come Edvige Fenech e Rita Rusic.
Maria muore all’improvviso il 13 ottobre 2009, mentre stava programmando con due mesi di anticipo gli invitati ai pranzi di Natale. La sua governante la trova accasciata sul pavimento del bagno alle 10 del mattino, subito dopo avere fatto colazione. Il tempismo non le era mai mancato, e anche in questo caso verrebbe da dire che tolse il disturbo al momento giusto, poco dopo che il fotografo Umberto Pizzi cominciasse a immortalare per Dagospia il passaggio degli inviati nel momento in cui si aprivano i cancelli della villa sul cocuzzolo di Trinità dei Monti (e non si riuscì mai a scoprire chi fosse la talpa). Ma da tempo anche il suo allievo prediletto le faceva concorrenza in diretta tv a base di risotti mantecati, contratti da firmare con gli italiani e plastici di Cogne. Ancora qualche tempo, e avrebbe avuto qualche problema anche a riempire un tavolo solo; troppi politici erano diventati impresentabili anche per il buffet della stazione; e magari avrebbero cominciato a dirle di no perché, considerati gli inviti in tv, non avevano più una sera.
Nanni Delbecchi
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il Fatto Quotidiano
Ahimè, non ero mai stato invitato nel famoso Salotto Angiolillo e così una quindicina d’anni fa, quando ero all’Espresso, presi al volo la richiesta del direttore Giulio Anselmi e fui ricevuto dalla Signora. Solo che a tavola non c’erano ministri, finanzieri o cardinali. Mi ero intrufolato come un clandestino: soltanto Lei e io. Una diplomazia sottile e indispettita mi aveva preceduto sull’uscio del villino Giulia della Trinità dei Monti. Dopo avere inoltrato regolare supplica, fui raggiunto da una cortese telefonata di Mario Pirani, collega d’alto bordo e vecchio amico dell’Ospite. Cosa stavo tramando? Perché insistevo? Non sapevo che Maria non concedeva interviste? Ah sì, un paio in passato, ma solo ad amici fidati.
Alla fine, il buon Pirani promise che si sarebbe adoperato: ma non ti prometto niente, intesi? Pomeriggio di mezza estate. Palme e oleandri. Camerieri silenziosi. Persiane aperte sulla città ardente.
Maria Angiolillo, signora del Salottissimo, che per un trentennio aveva ristorato il potere, Regista dei fili invisibili, Regina Elegantiarum mi scrutò con sguardo cortese e saettante: “Io non concedo interviste”. Spensi il registratore. Cos’ha contro le interviste? “Nulla, Ma preferisco il giornalismo serio. Quello che non s’intromette nella vita del prossimo”. Pensai: casca male. Mi guardai intorno: panciute seggiole impero, cuscini imbottiti, trumeau, onice e alabastri a volontà. Mi parlò del defunto marito Renato Angiolillo, che pur essendo fondatore del quotidiano Il Tempo si raccomandava: prudenza mia cara prudenza, meno si parla di noi meglio è. Come altro esempio di vita citò la principessa Isabella Colonna, “donna di elevati valori” che all’inizio degli anni Sessanta apriva i saloni di palazzo Colonna alla nobiltà nera e alla meglio società. “Un’aristocratica piccola, meravigliosa dal francese melodioso. Ma guai a ritardare di qualche minuto. E non riceveva le donne divorziate” (riaccesi il registratore). “Ricordo la prima volta che entrai a palazzo, avevo un abito corto e tutte quelle gran dame mi guardavano storto”. Alta, snella, rossetto carminio, sul petto un gioiello d’oro che riproduce un torso dell’amatissimo Igor Mitoraj, Maria Girani vedova Angiolillo sorseggiava acqua ghiacciata e mi raccontava un sacco di balle intrise nel miele. Umberto Bossi? “Si è comportato benissimo”. Roberto Calvi? “Non sapevo che fosse P2”. Licio Gelli? “Non lo conosco”. Andreotti? “Uno degli amici più cari”. D’Alema? “Molto riservato”. Veltroni? “Molto competente”. Berlusconi ? “Era a cena qui da me e andarono via le luci. Lui chiede dov’è il contatore, sale di sopra e sistema tutto”. Prodi? “Sbagliò data e si presentò con ventiquattr’ore di anticipo. Lo ricevetti in vestaglia”. Poi affondai il colpo: esiste in Italia un potere invisibile che controlla gli altri poteri? “Sì, c’è sicuramente un potere invisibile che controlla tutto”. E questo potere si ritrova e agisce qui nel suo salotto? Mi guardò e non rispose. Spensi il registratore e facemmo un patto: se mi avesse raccontato qualcosa di più su ciò che aveva sentito e visto non lo avrei scritto. Si descrisse come una donna sola e indifesa che dopo la morte del consorte aveva dovuto appoggiarsi ad amici influenti. L’idea del salotto era nata così, poi col tempo questo luogo d’incontro si era, per così dire, strutturato. A parte le cene con gli amici di sempre, venivano organizzate delle colazioni riservatissime e a pagamento dove periodicamente i potenti – ministri, segretari di partito, banchieri, porporati –, si accordavano, stipulavano alleanze, nominavano direttori di giornale, facevano e disfacevano governi. Intrighi di cui, giurò, lei nulla sapeva poiché una volta sistemati gli ospiti chiudeva la porta e si allontanava discretamente. Massonerie all’opera? Sì, confermò, ma nel senso di un’unica grande loggia fondata sulle relazioni e sugli interessi.
Sono trascorsi molti anni e penso di poter venir meno all’impegno preso con la gentile ed elegante Signora. Anche perché sono segreti che sapevamo tutti.
Antonio Padellaro