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 2015  maggio 07 Giovedì calendario

Italicum, Mattarella ci ha messo la firma. Risponde a tutti i requisiti indicati dalla Consulta, fissa una soglia per il premio di maggioranza, dà una sforbiciata alle liste bloccate, rimette in gioco le preferenze e ottempera a certe direttive europee (il 3%) per cui non c’era motivo per rimandare la legge davanti al Parlamento. Il testo è stato promosso anche dalle agenzie di rating Moody’s e Fitch

Per una complicata questione di precedenze tra alte cariche dello Stato, ci sono voluti quasi due giorni prima che l’«Italicum» approdasse sulla scrivania del Presidente. In calce alla legge occorreva anzitutto la controfirma di Renzi, il quale però martedì era a Trento, di ritorno la sera nella Capitale non aveva fatto in tempo a provvedere, e finalmente ieri mattina si è auto-postato su Twitter nell’atto trionfale di siglare la tanto agognata riforma. «Una firma importante dedicata a tutti quelli che ci hanno creduto, quando eravamo in pochi a farlo», ha scritto per la Storia il premier. Dopodiché un «camminatore» (come nel gergo vengono definiti i messi governativi) ha recapitato il plico della legge sul Colle quando ormai era l’ora di pranzo. La promulgazione è intervenuta praticamente subito, poco prima delle 18. Chi frequenta Mattarella lo descrive «sereno e determinato, convinto di aver preso la decisione giusta».
La nota del Colle
Si è limitata a darne notizia molto asciuttamente, senza dilungarsi a illustrare i tanti perché del «via libera» di Mattarella. Magari qualche predecessore sarebbe stato più prodigo di pubbliche spiegazioni, visto che la riforma è di quelle epocali, piega l’intero sistema alle esigenze della stabilità: di qui la rivolta dell’opposizione ma anche il plauso delle agenzia di rating Fitch e Moody’s e l’ammirazione un po’ invidiosa dello spagnolo «El Pais». Probabile che pure Mattarella, nei prossimi giorni, trovi l’occasione adatta per motivare le ragioni del semaforo verde. Ma molto è già filtrato, attraverso vari canali. Da fonti parlamentari si è appreso, ad esempio, che sul Colle non si è colta alcuna violazione delle procedure democratiche. In Senato la riforma venne votata dal 60 per cento dell’aula, berlusconiani compresi. E pure alla Camera la maggioranza assoluta ha detto sì, nonostante il voltafaccia di Forza Italia.
Nessun «vulnus»
L’«Italicum» risponde a tutti i requisiti indicati dalla Consulta un anno e mezzo fa, quando bocciò il «Porcellum». Fissa una soglia per il premio di maggioranza e dà una sforbiciata alle liste bloccate. Rimette in gioco le preferenze. Ottempera a certe direttive europee per quanto riguarda lo sbarramento del 3 per cento. Insomma, a occhio nudo non c’era motivo per rimandare la legge davanti al Parlamento: questo si dice dalle parti del Colle. La Costituzione è salva, dunque firmare rappresentava un obbligo. 
Se si votasse domani
È il dubbio sollevato da giuristi autorevoli: quale legge verrebbe applicata? Nel dare via libera all’«Italicum», Mattarella fa intendere che la questione non sussiste. Fino al 30 giugno 2016 si andrebbe alle urne con il sistema proporzionale lasciato in piedi dalla Consulta. Dal primo luglio del prossimo anno entrerà in vigore la nuova legge, e di sicuro verrebbe applicata alla Camera. La previsione è che per quella data il Senato sarà stato abolito tramite riforma della Costituzione, dunque nessun problema. Se viceversa la riforma andasse in fumo, nulla vieterebbe di procedere con due sistemi diversi, l’«Italicum» a Montecitorio e il «Consultellum» a Palazzo Madama. Sul Colle l’ipotesi non viene demonizzata. E come osserva Ceccanti, esperto della materia, Renzi potrebbe vincere con entrambi i sistemi.