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 2015  maggio 06 Mercoledì calendario

Scuola, riforma costituzionale e unioni civili. Il Vietnam al Senato

C’è Roberto Speranza, che nella sua prima uscita pubblica dopo lo strappo, lancerà una proposta sul reddito minimo contro la povertà che pare ammiccare ai grillini. Lui e gli altri 38 non escono dal Pd ma vogliono lavorare in prospettiva ad una «sinistra di governo». Poi c’è Pippo Civati, che uscirà dal Pd la prossima settimana, dice. Fuma nel cortile della Camera, reduce da un incontro al vertice con i suoi tre senatori, Tocci, Mineo e Ricchiuti. «Provano a organizzare un gruppo a Palazzo Madama con gli ex grillini e questo creerebbe qualche problema in più a Renzi». Se i tre civatiani uscissero dai ranghi della maggioranza in un palazzo dove Renzi viaggia sul filo del rasoio in effetti qualche pensiero potrebbero crearlo. 
I numeri ballerini
L’ultimo voto sul Def infatti si è chiuso con 165 voti a favore, «considerando quelli di Bondi e della Repetti», fa notare il più duro dei bersaniani, Miguel Gotor e quando bisogna ottenere 161 voti di maggioranza ogni unità ha un suo peso. Tanto che «speriamo che Casson, quarto civatiano, diventi sindaco di Venezia», sospira il renziano Giorgio Tonini: perché dovrebbe subentrargli una donna vicina alla maggioranza. La truppa di dissidenti che fa più paura è quella dei 24 guidati da Gotor. Che ieri li ha riuniti in segreto, ma nega di voler organizzare la guerriglia al governo, «i nodi centrali sono scuola e riforma del Senato, punto». Il nocciolo duro sono una quindicina, dicono i renziani, perché alcuni come Chiti o Corsini e altri, hanno più autonomia, altri tre sono eletti all’estero. E siccome in Australia e Usa i senatori sono eletti non capiscono perché qui non debbano esserlo, «ma loro non sono contro il governo». 
La «Croce azzurra»
Il teatro di battaglia sarà la riforma che abolisce il Senato ed è lì che Renzi proverà a mediare. «Cosa succede se i duri al Senato si mettono di traverso? Arriverà in soccorso la Croce azzurra di Verdini», sorride sornione Cesare Damiano. Nel Transatlantico a Palazzo Madama, uno che la sa lunga come Nicola Latorre, prevede che fino al 31 maggio non succederà nulla, solo dopo le regionali comincerà il secondo tempo della partita. «A destra ci sarà un terremoto, perché Forza Italia potrebbe esplodere e qui cambierebbero molte cose». Della riforma costituzionale dunque non si parlerà a breve, Renzi aspetterà l’esito delle elezioni per capire se con Forza Italia o quel che ne resta si potrà riannodare un qualche patto: l’abolizione del Senato sarà incardinata a giugno e lo scontro con la ventina di dissidenti si consumerà col solleone. 
E posto che non si può parlare di Senato elettivo, per provare a mediare si pensa di collegare il voto dei cittadini alle regionali alla scelta dei consiglieri-senatori. Con una formula del tipo: diventano senatori i consiglieri regionali più votati, o con un “listino” a parte. Ma il Vietnam potrebbe esplodere anche su altri temi: le unioni civili, dove i problemi sono al centro e non a sinistra. E la scuola con l’assunzione dei precari: sempre dopo le regionali però. La «buona scuola» dalla Camera arriverà in Senato il 20 maggio e dal 25 al 30 l’aula sarà chiusa per la campagna elettorale.