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 2015  maggio 06 Mercoledì calendario

L’Italicum tra responsabilità e personalizzazione. Non è soltanto una nuova legge elettorale, la riforma rappresenta il principio ispiratore di Renzi: io scelgo te e poi giudico te

Si è discusso per mesi – con i toni purtroppo noti – del merito della legge elettorale appena varata in via definitiva dalla Camera dei deputati. Da dopo la sua approvazione – che ha lasciato sul campo tonnellate di macerie politiche – si è poi cominciato a ragionare sul percorso (accidentato) che si para oggi di fronte al presidente del Consiglio. Minor attenzione, invece, è stata fino ad ora dedicata agli effetti che l’Italicum – nei tempi medio-lunghi – potrà avere sul sistema politico italiano e sul comportamento dei cittadini-elettori.
Il punto, invece, è destinato a diventare centrale: perché se è vero che l’introduzione del Mattarellum segnò il passaggio dalla Prima e moribonda Repubblica alla Seconda, è presumibile che con l’avvento dell’Italicum la Terza comincerà a muovere i suoi primi passi. Una Repubblica che sarà non solo ancor più bipolare, ma che – in tempi appunto medio-lunghi – potrebbe approdare ad un bipartitismo di fatto, fortemente segnato da leadership personali: come in Francia, negli Usa, in Inghilterra e via elencando.
In più – ora forse lo si vede con maggior chiarezza – l’Italicum non è soltanto una nuova legge elettorale (attesa, per altro, da anni).
Essa, infatti, pare rappresentare un altro tassello di quell’«orizzonte renziano» – quasi un puzzle – le cui stelle polari si confermano essere principi quali la «responsabilità» e la «personalizzazione».
Sono i principi, in fondo, che hanno accompagnato l’ascesa di Matteo Renzi – prima al vertice del Pd e poi del governo – e che hanno segnano i suoi più importanti provvedimenti: da quello contestatissimo sulla scuola (i presidi-manager) a quello sulla Pubblica amministrazione (merito e responsabilità) fino, naturalmente, all’Italicum.
Per meglio intendersi: la nuova legge elettorale – fatta ogni differenza – rappresenta una trasposizione (assai pasticciata, secondo alcuni) del principio ispiratore che vale per i sindaci: io scelgo te e poi giudico te. È da quella legge elettorale che ha preso le mosse il processo di «personalizzazione» del rapporto tra il candidato e l’elettore, a scapito del potere dei vecchi partiti. È quella legge, per prima, che ha reso possibile – per dire – l’elezione di sindaci che alle spalle avevano, di fatto, nessun o poco rilevante partito: Pisapia, Orlando, De Magistris, Doria sono solo gli ultimi e più noti esempi.
C’è una certa coerenza, insomma, tra le enunciazioni renziane e gli atti conseguenti. E l’impressione sempre più netta è che si continui colpevolmente a sottovalutare la possibilità che l’attuale premier possa essere qualcosa di diverso da quella sorta di populista inconcludente – per di più con giubbotto alla Fonzie – contro cui molti hanno fino ad ora puntato l’indice: salvo, naturalmente, a battaglia perduta (e cominciano ad esser tante le battaglie perse...) a paventare l’avvento del fascismo, di un regime autoritario e via esagerando.
Molto meglio sarebbe fare i conti con la realtà: e convincersi che non sono le minacce di improbabili scissioni o anatemi buoni negli Anni 50 (del secolo scorso...) gli strumenti migliori per avversare la politica e i programmi del premier-segretario. Sarebbe necessario, insomma, che i critici di Renzi (e non sono pochi) abbandonassero una opposizione che pare sempre più propagandistica e di principio e facessero i conti con quel che hanno di fronte. E il discorso è applicabile, naturalmente, tanto al centrodestra quanto alle minoranze interne al Pd.
Entrambi, infatti, sono attesi alla soluzione dell’identico problema (a maggior ragione ora, ad Italicum approvato): le smarrite truppe berlusconiane – e i loro alleati – devono tirar fuori dal cilindro un candidato da contrapporre a Renzi in vista di elezioni che, prima o poi, arriveranno; e le minoranze interne, forse ancor prima, un leader da contrapporre all’ex sindaco di Firenze in vista delle primarie e del Congresso (2017) per la scelta del nuovo segretario del Pd. Un leader giovane, possibilmente: che non consideri ballottaggi e premi di maggioranza un prodotto del Diavolo e che abbia imparato dall’ascesa di Renzi l’essenziale: il coraggio e la disponibilità a rischiare in proprio...