Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2015  maggio 06 Mercoledì calendario

Ecco chi è Christian Thielemann, l’uomo che potrebbe dirigere dei Berliner. È uno dei più grandi dai tempi di Karajan (del quale fu un protegé) ma su di lui pesa una simpatia per la destra anti-immigrati. Così la più democratica orchestra sinfonica diventa un caso politico

C’è un elefante parcheggiato a Berlino di fronte all’iconico edificio di Hans Scharoun, che è la casa dei Berliner Philharmoniker. L’11 maggio i 124 membri della migliore e più democratica orchestra sinfonica del mondo eleggeranno il loro nuovo direttore artistico, in sostituzione di Sir Simon Rattle, il maestro inglese che nel 2018 lascerà dopo 16 anni l’incarico che fu anche di Herbert von Karajan e Claudio Abbado.
Il metaforico pachiderma ha il volto teutonico, lo straordinario talento, l’eccelsa qualità musicale e la problematica visione politica di Christian Thielemann.
Cinquantasei anni, berlinese di nascita, attuale direttore della Staatskapelle di Dresda, Thielemann è considerato il più grande direttore d’orchestra tedesco dai tempi di Karajan, del quale fu giovane assistente e protegé. E non è un segreto che sia proprio lui in pole position nella discreta ma intensa campagna interna all’orchestra berlinese per la nomina del successore di Rattle.
Sostenuto da un gruppo non maggioritario ma molto compatto e determinato di orchestrali, Thielemann è visto come il custode della tradizione che ha fatto la leggenda dei Berliner. E con un repertorio molto (troppo, sostengono i critici) ancorato all’Ottocento tedesco, eccelso su Wagner, Strauss, Brahms o Beethoven, egli stesso non fa mistero di considerarsi il legittimo erede del suo mentore e più ancora del mitico Wilhelm Furtwaengler.
La maggioranza dell’orchestra, divisa però sull’alternativa, obietta che scegliere Thielemann equivarrebbe a cancellare d’un tratto oltre 25 anni di rinnovamento e apertura alla musica del Novecento e contemporanea, iniziato nel 1989 con Abbado e proseguito ancora di più con Rattle. Di più, molti ne temono l’indole autoritaria e umorale.
Ma il vero handicap di Christian Thielemann, quello che giustifica il paragone con l’elefante, non è tanto artistico o caratteriale, quanto politico. È successo in febbraio. In alcuni editoriali, che hanno fatto molto rumore in Germania, il direttore d’orchestra ha avuto parole di forte comprensione per Pegida, il movimento anti-islamico e anti-immigrati che ha la sua roccaforte a Dresda, dove ogni lunedì i suoi simpatizzanti si ritrovano proprio di fronte alla Semper Oper in cui lavorano Thielemann e la Staatskapelle.
«Non siamo più capaci di ascoltare. Pegida non è la malattia ma il sintomo», ha scritto, criticando esplicitamente la posizione di forte condanna del fenomeno, assunta dalla cancelliera Merkel. «L’Islam appartiene alla Germania? – si è chiesto Thielemann nel passaggio più contestato —. Forse un giorno la cristianità apparterrà alla Turchia e l’ebraismo al mondo arabo. Ma fino ad allora dobbiamo poter rispondere di no, senza passare per fascistoidi, populisti di destra o intolleranti». Dinamite politica, in un Paese modello d’integrazione, dove vivono stabilmente oltre 5 milioni di musulmani, 2 milioni dei quali hanno la nazionalità tedesca.
Forse ancora più grave è che Thielemann, nel rivelare di essere stato sollecitato da molti a intervenire nelle manifestazioni di Pegida «per rivolgersi al popolo», usi per questo la parola Volk, un termine contundente in Germania, parte di un vocabolario indissolubilmente legato al nazismo, carico com’è di implicazioni etniche e razziali. «Come capo dei Filarmonici, Thielemann non è politicamente sostenibile», ha sentenziato pochi giorni fa la Berliner Zeitung. E qualcuno ha ricordato anche un incidente, vecchio di oltre quindici anni, quando un giovane Thielemann fu costretto a smentire pubblicamente di aver fatto delle battute anti-semite all’indirizzo di Daniel Barenboim, il quale non sembrò molto convinto e commentò che «la famosa Berlinerluft, l’aria di Berlino, a qualcuno fa perdere la memoria». Non senza ironia, Barenboim è considerato peraltro come il più forte contendente del maestro tedesco per la guida dei Berliner.
Il conto alla rovescia sta per finire. Lunedì prossimo, riuniti in un luogo segreto, i Filarmonici berlinesi si daranno un nuovo direttore. Ma il talentuoso elefante in attesa fuori dalla Philharmonie sta rendendo la loro scelta tormentata e controversa.