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 2015  maggio 05 Martedì calendario

Porcellum, Mattarellum e Italicum, Ecco come le leggi elettorali hanno cambiato il Paese, pur mantenendolo instabile

Con la nuova legge elettorale, cominciò la Seconda Repubblica. Il presidente Scalfaro, all’indomani dell’approvazione di quello che Giovanni Sartori definì sarcasticamente «Mattarellum» dal nome di chi la ideò e che sarebbe diventato nel 2015 presidente della Repubblica, dichiarò che il Parlamento eletto con la vecchia legge proporzionale, e già sconvolto dalla ghigliottina giudiziaria del ‘92-93, non era più legittimato, sciolse le Camere e indisse nuove elezioni con le nuove forme. In teoria, se si volesse seguire quel galateo istituzionale, l’approvazione dell’Italicum dovrebbe metter fine al Parlamento eletto con il Porcellum. Ma il galateo cambia con il mutare delle epoche e dei protagonisti. Resta il fatto che in Italia la nevrosi della legge elettorale ha determinato scenari politici, schemi, alleanze, schieramenti. Un’ossessione. Ma non è così normale che attraverso una guerra sulla legge elettorale vengano giù oltre 45 anni di storia italiana. La Prima Repubblica era finita così.
Il segno della fine politica di Bettino Craxi fu evidente nel corso di una tavolata del 1991 con i microfoni delle televisioni a captare i discorsi dei commensali. Qualcuno chiese a Craxi cosa avrebbe fatto la domenica dei referendum voluti da Mario Segni per abolire le preferenze multiple. La risposta di Craxi fu: «Passami il sale». Era un modo per dire che quell’argomento non lo interessava, che le iniziative di Segni avrebbero rappresentato al massimo una puntura destinata a riassorbirsi in fretta. Invece fu il trionfo dei referendari, il primo chiodo sulla bara del famoso «Caf» e lo scricchiolio inquietante dell’impalcatura della Prima Repubblica. Nell’aprile del ’93 un altro referendum di Segni fu il colpo di grazia sui vecchi equilibri mentre Mani Pulite decimava a suon di avvisi di garanzia la classe politica di governo. Era un terremoto che cambiava radicalmente l’assetto politico dell’Italia. Prima con il proporzionale, con la guerra fredda e il Muro di Berlino intatto, si sapeva chi sarebbe andato al governo e chi all’opposizione. La Democrazia cristiana, aveva costruito un sistema di alleanze stabili da garantirgli la maggioranza e soltanto nelle elezioni del ’48 e del ’76 l’esito poteva esserle sfavorevole. Con il nuovo sistema elettorale cambiava tutto. Cambiava così tanto che gli stessi protagonisti non capirono la portata del cambiamento.
Il Mattarellum assegnava il 75 per cento dei seggi con il sistema uninonimale, e il restante 25 con quello proporzionale. Il maggioritario corretto, molto corretto. Anche perché nessuno vietava, chiuse le elezioni e formato il Parlamento, di costituire nelle due Camere gruppi parlamentari che non avevano preso voti degli elettori. Tutti immaginavano un paradiso di stabilità. Ma se poi gli alleati davanti agli elettori diventavano nemici dopo le elezioni, che colpa poteva avere un sistema elettorale? Berlusconi vinse nel ’94 con la Lega. Poi la Lega fece il ribaltone in Parlamento: colpa del Mattarellum? E se Occhetto, anziché intonare gli inni alla «gioiosa macchina da guerra» avesse capito il senso del nuovo sistema elettorale, probabilmente avrebbe cercato alleanze più larghe e non il Pds con un po’ di cespugli intorno. Capì il bipolarismo benissimo Berlusconi. I sapientoni lo prendevano in giro perché lui diceva il «rassemblement dei moderati» ma quel rassemblement gli fece vincere le elezioni, mentre la sinistra, incapace di assemblare, permise la nascita di un terzo polo centrista debole ma sufficientemente forte da negarle la vittoria. La sinistra lo capì tardi. Inventò l’Ulivo e portò Prodi a Palazzo Chigi. Ma c’era il rischio ribaltone, e quell’esperimento fallì.
Il Mattarellum segnò l’ingresso dell’Italia nelle democrazie dell’alternanza, a differenza di quanto capitava nella Prima Repubblica. Inaugurò il bipolarismo. Non il bipartitismo, il bipolarismo. Berlusconi era la calamita che fece funzionare il bipolarismo: o con lui o contro di lui. Ma l’Italia non guadagnò molto in stabilità politica. E le disquisizioni interminabili sulla legge elettorale divennero la fissazione di giuristi, costituzionalisti e politologi che invasero l’agenda politica con colpi micidiali di variabili alla spagnola, alla francese, all’australiana, con e senza scorporo, con o senza premio.
L’interesse dei cittadini rasentava lo zero, ma nel piccolo universo della politica e dei suoi commentatori discettare di legge elettorale sembrava un esercizio obbligatorio. Se poi si pensa che esiste un sistema elettorale diverso per l’elezione dei Comuni, uno per le Regioni, uno per le Province, la discussione sulla legge elettorale ha preso livelli di raffinatezza inauditi in tutte le altre democrazie occidentali che, come ci ha ricordato Sabino Cassese su queste pagine, cambiano sistemi elettorali con molta parsimonia.
Finché non si arrivò alla vigilia del 2006, cioè circa tredici anni dopo il tanto vituperato Mattarellum. Arrivò Roberto Calderoli con il suo Porcellum. La prima volta vinse Prodi con un sistema che costringeva a schieramenti così vasti, da mettere in unico calderone Mastella e i transfughi dei centri sociali. Nel 2008 la vocazione maggioritaria di Walter Veltroni e il rifiuto di Berlusconi di allearsi con Casini e Storace portò a una radicale semplificazione dei gruppi rappresentati in Parlamento. Poi si è visto. Il centrodestra dissolto. Il terzo polo del Movimento 5 Stelle. Il caos. Ora l’Italicum. Senza scorporo: disperazione tra i politologi.