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 2015  maggio 04 Lunedì calendario

Spa 900, quel bagno pubblico che non era un cesso ma un’opera d’arte. In piazza Oberdan, a Milano, nel 1926 fu inaugurato il Diurno Venezia, aperto dalle 7 alle 23, che offriva servizi igienici ai turisti e a chi non aveva il bagno a casa. Nei 1200 metri quadri sotterranei, disegnati da Portalupi, c’erano vasche, docce, gabinetti, wc, spogliatoi, ma anche un locale guardaroba, una stireria, un parrucchiere, un barbiere, la manicure, il deposito bagagli, un fotografo, un’agenzia postale, un ufficio bancario, due telefoni ma anche un fioraio e un’edicola. Ora però è in stato d’abbandono

A Milano, sotto Piazza Oberdan, giace sepolto un gioiello abbandonato che neanche quel principe azzurro dell’Expo 2015 riuscirà a risvegliare. Quella pensilina in ferro battuto in stile Liberty in fondo a via Tadino, che sembra messa là per caso ed è da tempo transennata, ricoperta di graffiti e in evidente stato di degrado, era in realtà uno dei due ingressi dell’Albergo Diurno Metropolitano “Venezia”, un servizio pubblico sotterraneo di altri tempi che dalle ore 7 alle 23 offriva servizi igienici di classe ai turisti, come vasche, docce e gabinetti, comodi anche per chi non aveva il bagno in casa. Sembra strano da raccontare oggi, eppure all’epoca era uso comune usare gli alberghi diurni, per comodità durante i viaggi o per altre ragioni.
Inaugurato nel gennaio del 1926, nei suoi 1200mq di estensione contava trenta cabine da bagno, sei cabine doccia con spogliatoio, dieci gabinetti e due WC, un locale guardaroba e stireria, parrucchieri per uomo e donna, un manicure, un deposito bagagli, un’agenzia turistica, un fotografo, un’agenzia postale, un ufficio bancario, due cabine telefoniche e molti altri locali, tra cui un fioraio e un’edicola.
In pratica era una Spa di inizi Novecento, che ostentava lusso ed eleganza, tra pavimenti in mosaico, pregiate rifiniture e sculture. Fu realizzato tra il 1923 e il 1925 su progetto dell’architetto star del Liberty Piero Portaluppi e già dal dopoguerra cominciò a subire un lento abbandono, anche se l’ultimo artigiano sopravvissuto, il barbiere Carmine Aiello, rimase là fino al 16 giugno 2006, quando fu sfrattato dalla giunta Albertini.
Del 2005 c’è il vincolo monumentale del Ministero dei Beni Culturali ma molti tra i pregiati arredi in legno e le decorazioni in stile déco furono venduti precedentemente, a fine anni novanta, dagli ultimi artigiani rimasti, che ritenevano gli appartenessero.Oggi il Diurno Venezia è in totale stato di abbandono e la mancanza di manutenzione e di areazione lo spingono velocemente verso un triste destino, tra muffe e crolli.
Ma dal 2013 il FAI (Fondo Ambiente Italiano) ha iniziato ad occuparsi di questo luogo invisibile eppure sfiorato ogni giorno da migliaia di persone, organizzandovi visite e spingendo il Comune di Milano a prendere impegni per recuperarlo. Il 23 e 24 marzo del 2014 ha organizzato anche delle visite all’interno, dopo averlo ripulito completamente e illuminato, grazie ai volontari FAI.
In passato si era parlato di farne un deposito per la Cineteca Italiana, poi un ristorante o una beauty farm, e la vicinanza a Corso Buenos Aires ha invitato le istituzioni a ipotizzare di trasformarlo in uno spazio commerciale.
Ma prima di sognare nuove destinazioni d’uso, come fossimo in un qualsiasi Paese Europeo abituato a recuperare i suoi beni prima che vadano in malora, si dovranno trovare in realtà fondi per restaurare le colonne che contengono i camini dell’impianto di riscaldamento, riaprire le grate di aereazione, installare un ascensore, togliere l’asfalto sui lucernari di vetrocemento, e fare molto altro per farlo tornare vivibile. Si dovrà oltretutto restaurare la pensilina, unico elemento che è là a segnalare ai milanesi la presenza di questa grande struttura sotterranea nata in piena Belle Epoque per garantire servizi igienici a tutti.
Da tempo campeggia su quella pensilina il volto dipinto a spray di un barbuto Cristo che richiama la Sacra Sindone eppure, malgrado in un certo senso un murales ci sia già, noi abbiamo chiesto all’artista che si firma WC, le cui gesta spesso abbiamo letto sui giornali in questi ultimi mesi, di proporcene uno lui, dedicato a quei bagni Liberty dimenticati.
Non possiamo negare che ci divertiva far confrontare uno che si firma WC con degli antichi servizi igienici in abbandono. Eravamo certi che non si sarebbe certo fatto problemi a coprire l’opera di qualcun altro né a prendere in giro religione o miti. E avevamo ragione.