La Stampa, 4 maggio 2015
Dickens, Nicholas Nickelby e quel certo disprezzo che lo stato nutre verso la scuola come strumento di formazione dei cittadini. Non solo in Inghilterra
Dickens è il più grande romanziere inglese dell’Ottocento, e uno dei più grandi di tutta la letteratura europea. Maestro di realismo, ma anche della dimensione surreale e fantastica, padrone di un irresistibile sense of humour, ma propenso alle più sfacciate soluzioni melodrammatiche, nei suoi romanzi ha dipinto con forti pennellate la realtà del suo tempo: dall’epoca delle diligenze e delle locande a quella del trionfo dell’industria pesante e dell’Impero.
L’eroe delle sue storie è spesso un fanciullo o un giovanotto vittima della malasorte e della cattiveria umana; ma che alla fine troverà soddisfazione perché il bene trionferà (Dickens era un inguaribile ottimista). È così anche in Nicholas Nickelby, che la Newton Compton propone nella nuova traduzione di Riccardo Reim. Una traduzione vivace e scorrevole, che segue i ritmi narrativi dell’originale, un romanzo che uscì a puntate mensili tra il 1838 e il 1839 per raccontare la storia di Nicholas, il quale, alla morte del padre, rimasto senza un soldo, si era rivolto per aiuto al suo malvagio zio Ralph.
I cattivi di Dickens sono davvero cattivi. Nicholas viene mandato a insegnare in una scuola dello Yorkshire, diretta dal brutale Mr Squeers. La sorella Kate viene mandata a lavorare da una sarta e lo zio suggerisce al donnaiolo Sir Hawk di sedurla. E quando Nicholas – che si è ribellato al perfido direttore e se ne è fuggito portando con sé Smike, un allievo brutalizzato dal suddetto Squeers – si innamora della bella Madeline, lo zio trama per farla sposare a un laido usuraio. La svolta è data dalla morte del povero Smike: si scopre che era il figlio dello zio Ralph, il quale, finalmente, fa una cosa giusta. Si impicca.
Un riassunto così sintetico dà l’impressione di un melodrammatico romanzo d’appendice. Nicholas Nickelby, per la verità, in parte lo è. Ma è anche molto di più, con la sua foltissima galleria di personaggi che di volta in volta animano l’affresco della remota campagna inglese e della vita turbinosa di Londra, dei rapporti di classe che dominavano la società del tempo e delle ingiustizie sociali che la caratterizzavano.
Dickens era un riformatore, a cui non piacevano gli scioperi e i sindacalisti, ma che condivideva le ragioni per cui gli operai scioperavano. Le ingiustizie c’erano. E dovevano essere eliminate. A partire dal sistema scolastico. In Inghilterra, scrive Dickens nella prefazione a Nicholas Nickelby, «l’istruzione viene mostruosamente trascurata e lo Stato nutre un certo disprezzo verso la scuola come strumento di formazione dei cittadini». Le infamie raccontate nel romanzo da tempo non esistono più, ma quel disprezzo, tuttavia, non è del tutto scomparso. Non solo in Inghilterra.