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 2015  maggio 04 Lunedì calendario

L’ultimo saluto del Grande Torino. Dopo 66 anni dallo schianto di Superga Marco Tosatti trova in un armadio un cartolina del padre indirizzata al fratello Giorgio. Sopra una sobria dedica: «Baci da papà» si affollano le firme dei giocatori del grande Torino. Ballarin, Ossola, Gabetto, Maroso…

Mio padre si chiamava Renato Tosatti, era un giornalista sportivo, scriveva sulla «Gazzetta del Popolo», antico quotidiano torinese. Era sull’aereo che tornava da Lisbona con il grande Torino il 4 maggio del 1949. Avevo un anno e mezzo; mio fratello Giorgio, che doveva seguirne le orme professionali, dieci di più; e mia sorella, la più grande, ne aveva quasi diciotto. 

Abitavamo a Torino, allora; poi, cinquant’anni fa, siamo tornati a Genova. In una casa in cui ho vissuto, e dove vive ancora mia sorella. Anche se adesso ha dovuto affrontare, inaspettato, qualche problema di salute, e si trova in un centro di riabilitazione.

Proprio a causa di questi suoi problemi sono tornato a Genova da Roma, dove vivo da molti anni, e mi sono trovato a frugare in cassetti e armadi. E ho scoperto un documento di cui ignoravo l’esistenza, e che ho visto qualche giorno fa per la prima volta, con un’emozione grandissima. 

È una cartolina, che rappresenta lo stadio Nazionale di Lisbona: quello in cui il Grande Torino ha disputato la sua ultima partita. È indirizzato «Al signorino Giorgio Tosatti, Via Beccaria 9, Torino». Sopra una sobria dedica: «Baci da papà» si affollano le firme dei giocatori del grande Torino. Ballarin, Ossola, Gabetto, Maroso… Una cartolina spedita con posta aerea, e che è arrivata a casa nei giorni successivi allo schianto. Spedita dall’aeroporto; probabilmente l’ultimo documento firmato dai personaggi di quel mito.
L’ho trovata in una cartella che conteneva qualche ritaglio di giornale. Uno, di quei giorni, intitolato «I “nostri” tre» parlava dei tre giornalisti, Luigi Cavallero, Renato Casalbore e Renato Tosatti. Accanto una foto: il corteo funebre, e subito dietro le bare ho riconosciuto mio fratello, un ragazzino con i capelli lisci e gli occhi bassi, pieni di una tristezza immensa. Quella foto la conoscevo: e per caso – o per premonizione – Giorgio me l’aveva ricordata nei mesi che hanno preceduto l’operazione al cuore, e la sua fine. 
La cartolina, invece, non l’avevo mai vista. È racchiusa in una cornice dorata, a doppio vetro; ma dubito che sia mai stata appesa. Certamente, non da quando ho avuto la capacità di osservare e ricordare. Ho esitato prima di decidere di pubblicarla; in casa abbiamo sempre circondato di molto pudore quella tragedia; anche quando ne parlavamo fra di noi, quasi per paura di risvegliare un dolore sopito, non spento. Infine ho deciso per il sì; un contributo alla memoria di quei grandi campioni, di quelle vittime tutte e di Renato e Giorgio, due protagonisti di valore del giornalismo del nostro Paese.