La Stampa, 4 maggio 2015
«L’Italicum fissa un equilibrio migliore rispetto al sistema francese o a quello inglese, resta il parlamentarismo e l’elezione diretta del premier è solo di fatto, non di diritto». D’Alimonte spiega la riforma che porterà l’Italia verso il bipartitismo perché anche se «continueranno a essere di più, ma solo due saranno realmente competitivi»
Professor Roberto D’Alimonte, politologo, ispiratore della legge, i dubbi sono tanti: primo, l’Italicum trasforma una minoranza in maggioranza.
«I sistemi maggioritari sono tutti basati sulla disproporzionalità, in cui la minoranza più grande può diventare maggioranza. È così in Francia, Gran Bretagna, Giappone, Australia…».
Nel caso dell’Italicum non c’è una distorsione eccessiva?
«Blair con il 35% dei voti ha ottenuto il 55% dei seggi. In Francia i socialisti col 29% del primo turno delle legislative hanno avuto il 53%. L’Italicum fissa un equilibrio migliore».
In che senso?
«Chi vince ottiene 340 seggi: non uno più, non uno meno. In Inghilterra e Francia, teoricamente chi vince potrebbe prendere il 100% dei seggi».
E se al ballottaggio vanno in pochissimi a votare?
«In Francia al ballottaggio per le presidenziali vanno più persone che al primo turno. L’elettore ha la possibilità di scegliere chi lo rappresenta e chi lo governa: poi decide lui se andare. Negli Usa alle ultime elezioni di midterm ha votato il 35%, e nessuno grida al fascismo».
Con l’Italicum andiamo verso un presidenzialismo di fatto?
«No: continueranno a essere distinte le figure del capo dello Stato e del governo. E continuerà a esistere il meccanismo della sfiducia, che non esiste nei sistemi presidenziali».
Lei stesso però ha ammesso che si va verso l’elezione diretta del premier.
«Elezione diretta de facto e non de iure, e diretta tra virgolette».
Che differenza fa?
«Molta: il sistema resta parlamentare, chi ha vinto può essere sfiduciato in Parlamento. E l’elezione diretta del premier, de facto, c’era già con Mattarellum e Porcellum».
Ma con l’Italicum non si accentra più potere sul premier?
«Certamente, come avviene in Inghilterra e altrove. È un effetto del maggioritario».
Più potere uguale rischio di autoritarismo.
«Ma come si fa a dire che sono autoritarie Inghilterra, Francia, Australia? Oltre tutto ci sono vari contrappesi».
Quali?
«Prima di tutto l’Europa e le elezioni, che costringono a tornare dagli elettori».
Troppo poco.
«Abbiamo la magistratura più indipendente del pianeta e una Corte Costituzionale autonoma e molto influente. Altri contrappesi sono nella riforma costituzionale: ad esempio, il capo dello Stato sarà eletto coi 3/5 dei votanti, cioè il 60%, e chi vince le elezioni avrà il 54%…».
Ma la riforma costituzionale ancora non c’è. Non è strano avere due leggi elettorali diverse per i due rami del Parlamento?
«È un pasticcio. Va approvato l’Italicum e poi bisogna muoversi con l’altra riforma».
Altra critica: solo chi vince eleggerà con le preferenze...
«I perdenti eleggeranno prevalentemente i capilista, ma non solo. E poi sulla scheda accanto al simbolo del partito ci sarà il nome del capolista: come nei collegi uninominali, l’elettore deciderà se votarlo o no».
La soglia al 3% favorirà la frammentazione.
«Si può anche dire che favorirà il pluralismo. Prima o poi, invece, con un maggioritario così potente, verrà fuori un rassemblement di centrodestra competitivo col centrosinistra».
Andremo verso il bipartitismo?
«Certo, come dinamica competitiva. I partiti continueranno a essere di più, ma solo due saranno realmente competitivi».