La Stampa, 4 maggio 2015
Ecco perché sembra impossibile fermare la violenza nelle piazze. Leggi antiquate rispetto alla tecnologia, giudici troppo garantisti che non hanno espulso i black bloc. Ora si pensa all’arresto in flagranza posticipato: negli stadi ha dato risultati, nelle strade funzionerà?
La cronaca è fin troppo ricca di manifestazioni che degenerano in violenze. Ed ogni volta tutti a chiedersi se sia un prezzo inevitabile. Il ministro dell’Interno, Angelino Alfano, ora propone l’arresto in flagranza differita per i violenti. Ma funzionerà?
La polizia ha il potere di arrestare in flagranza chi commette un reato punibile con una pena superiore a 3 anni. Vi rientra la devastazione, ad esempio. Con la flagranza differita – che negli stadi è fissata in 48 ore – si bloccano gli orologi e la polizia ha il tempo di visionare i video di sorveglianza o le fotografie riprese in piazza, magari arricchite dall’immenso materiale visuale che immediatamente si affolla sul web, per “fissare” una flagranza che altrimenti è destinata a sfuggire. Il Viminale è convinto che con la flagranza differita, e con la collaborazione internazionale delle altre polizie, sarebbe possibile individuare molti devastatori di piazza e arrestarli nei due giorni seguenti ai tafferugli.
Perché la polizia non interviene sul momento?
È questo il potere dei funzionari di pubblica sicurezza: a loro spetta la decisione su come muoversi nella gestione dell’ordine pubblico. Anche quando un reato avviene sotto i loro occhi – e incendiare una macchina o distruggere una vetrina sicuramente lo è – il funzionario di Ps deve valutare e decidere nel giro di qualche minuto se ci sono le condizioni di sicurezza per procedere all’arresto del colpevole oppure se non si incorra in pericoli maggiori, magari esasperando ancor di più la violenza. E la strategia della polizia italiana è sempre più incline al “contenimento del danno” quando si tratta di ordine pubblico. Di arresti in piazza se ne fanno sempre il minimo indispensabile. Ecco perché, dicono, sarebbe molto utile l’arresto in flagranza differita: quando le acque si sono calmate, e ci sono prove solide, si va e si prende il responsabile.
Dove sono le falle della legge e quali provvedimenti potrebbero essere presi?
È clamoroso il ritardo della nostra legislazione in materia. La polizia ha a disposizione le norme fasciste del codice Rocco oppure le norme antiterrorismo degli Anni di Piombo, quando i cellulari e i social network non esistevano. Così avviene che la partecipazione a una manifestazione con il volto travisato, ovvero coperti con casco integrale, felpe e maschere, sia vietato, ma anche punito con una banale ammenda. Il reato è considerato minimale. Di nuovo, mutuando dalle norme per le manifestazioni sportive, il ministero dell’Interno immagina un forte inasprimento di pene per il lancio di petardi e di bombe carta, per il lancio di oggetti atti ad offendere, per il travisamento del volto. L’assenza di reati specifici e di pene severe, comporta anche l’impossibilità di intercettazione – delle telefonate, ma anche delle chat – e una rapida prescrizione. Sono ricette che i tecnici del settore propongono da tempo, ma finora hanno trovato la politica sorda. Il tabù della libertà assoluta nelle manifestazioni di piazza è duro a cadere.
Che cosa non ha funzionato a Milano?
Il bilancio del primo maggio meneghino è fatto di ombre e di luci. È sicuramente vero che non ci sono stati feriti, nonostante l’aggressività estrema degli antagonisti. Forse qualcuno aveva sperato di replicare la Genova del G8, mandando dei ragazzini allo sbaraglio, magari per poi poter indicare la polizia italiana come la stessa di Bolzaneto, ma ha sbagliato i conti. Però è anche vero che non ci si può arrendere alla retorica del “peggio evitato”. In realtà la polizia recrimina un po’ perché il lavoro preparatorio a Milano è stato vanificato da un giudice di pace particolarmente garantista.
Che cosa c’entrano i giudici di pace?
Alla vigilia delle manifestazioni, il giudice di pace ha negato l’espulsione coatta di diversi antagonisti stranieri. È accaduto con dei francesi fermati dai carabinieri in possesso di spray urticanti e bombolette di vernice. E di nuovo con tre tedeschi trovati con un’auto zeppa di taniche di benzina e di stoppini. Il giudice ordinario ha arrestato il proprietario della macchina. Per gli altri, la polizia ha chiesto al giudice di pace un ordine di accompagnamento alla frontiera. Invano. Il giorno dopo, gli stessi tedeschi sono stati pizzicati di nuovo e stavolta il giudice di pace ha acconsentito all’espulsione coatta. Altro tipo di inciampi c’è stato con un gruppo di francesi, fermati nello stesso stabile occupato dove erano i tedeschi e una ventina di italiani (denunciati a piede libero per possesso di armi improprie). Siccome non avevano documenti, è stato coinvolto il Consolato francese per l’identificazione. Ma il Consolato è stato lentissimo e il fermo per esigenze di riconoscimento – di 12 ore – è sfumato. I francesi, in assenza di meglio, sono stati “invitati” dal prefetto a lasciare l’Italia. Del clamoroso ritardo è stata informata la Farnesina.