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 2015  maggio 04 Lunedì calendario

Renzi contestato dai precari della scuola a Bologna. La replica: «Se la riforma non passa continuerete a fischiare senza incidere sull’educazione dei nostri figli e 100.000 professori non entreranno. Possono mandarci a casa, ma non possono fermarci, non sono qui per stare 20 anni al potere ma per cambiare l’Italia»

Dei tafferugli e delle uova dei centri sociali alle cancellate del parco della Montagnola, nemmeno si accorge. Rumori di sottofondo, lontani, che il premier Matteo Renzi, con la mente ancora agli scontri milanesi dell’Expo, liquida sotto la voce «teppistelli con il Rolex». Si accorge invece, eccome, dei fischi di un nutrito drappello di studenti e precari Cobas della scuola che, sgusciati chissà come tra le maglie delle forze dell’ordine, lo attendono sotto il palchetto della Festa dell’Unità della Montagnola, kermesse nata con intenti commemorativi, ma che tra contestazioni (ai ministri Giannini e Poletti), nubifragi, polemiche assortite e una blindatura da G8 proprio fortunata non è stata. È un Renzi da battaglia: «Mi avevano detto di non provocare, di non parlare della scuola qui a Bologna…». E invece no. Duello inedito. Civile. Ma tosto. Il premier che si infervora: «Non mi spaventano tre fischi, cambierò l’Italia». Gli altri, compatti, a testuggine, che replicano con bordate di fischi e qualche pentolata. In mezzo una platea di 3.000 persone che si divide, ondeggia, all’inizio non capisce, poi alterna sostegno ai contestatori e applausi al capo del governo.
Nervo sensibile, la scuola, per il premier. Che cita la sua vecchia maestra delle elementari, Eda, staffetta partigiana. Elenca i tanti insegnanti presenti in famiglia, a cominciare dalla moglie. Gli bruciano, si vede, i fischi. A tratti il tono si fa brusco: «Non è con i fischietti in bocca – grida – che si migliora la scuola: se la riforma non passa continuerete a fischiare senza incidere sull’educazione dei nostri figli e 100.000 professori non entreranno». Poi l’apertura, la disponibilità alla mediazione: «Il dl del governo non è prendere o lasciare, possiamo discutere nel merito». E prima di andarsene, l’incontro con una delegazione di precari. Interlocutorio, secondo i contestatori: «È stata una prova d’ascolto ma la distanza resta immutata».
Si mischiano un sacco di cose in questa domenica bolognese. L’Italicum con il voto decisivo di oggi («Abbiamo rischiato l’osso del collo» afferma il capo del governo). L’eco degli scontri all’Expo. Il brontolio sordo delle varie minoranze pd che qui a Bologna hanno la roccaforte più nutrita, ma che, da tradizione, riescono a procedere in ordine rigorosamente sparso. Gianni Cuperlo, che si è astenuto sulla riforma elettorale, è presente alla Festa (e Renzi gli regala un «benvenuto a casa tua»). Andrea De Maria, che ha votato a favore, pure. Pier Luigi Bersani, non invitato, non si fa vedere. E la prodiana Sandra Zampa fa una toccata e fuga. Sul palco, assieme al premier, il governatore Stefano Bonaccini e il segretario provinciale (cuperliano) Francesco Critelli.
Renzi alterna bastone a carota. «Possono mandarci a casa, ma non possono fermarci, non sono qui per stare 20 anni al potere ma per cambiare l’Italia». E a un militante appassionato di caccia grossa che lo invita «a tagliare la testa agli elefanti della minoranza», replica: «Io non schiaccio la testa a nessuno, ma non mollo». Quindi un conciliante «il Pd litiga ma va avanti tutto insieme» verso riforme che si chiamano Italicum, Fisco, giustizia, Titolo V. Subito dopo però l’avvertimento: «Non saremo come Dorando Pietri, non ci fermeranno a 100 metri dal traguardo». C’è un passaggio anche per quel deserto di macerie che è l’attuale centrodestra. A chi lo accusa di bulimia da potere, Renzi replica con l’augurio che «si formi un grande partito di destra: saremo più contenti quando lo sconfiggeremo e farà bene alla democrazia, hanno tempo fino al 2018 per organizzarsi». Poi l’ennesimo annuncio del ritorno dell’Unità in edicola: «Stiamo vedendo con Cuperlo alcune idee bislacche da realizzare prima della Festa nazionale di Milano di fine agosto», assicura.
Domenica tutta di corsa. Iniziata a Mestre a sostegno di Alessandra Moretti, candidata per la guida del Veneto contro il leghista Luca Zaia e il ribelle Flavio Tosi, e di Felice Casson, che corre per la fascia tricolore a Venezia. Poi una parentesi di alta musica alla casa-museo di Luciano Pavarotti, nel Modenese, «luogo magico e simbolo di italianità». In mezzo, alla rassegna «Aquae» a Venezia, ricucitura con Romano Prodi dopo i veleni per la mancata citazione del ruolo svolto nel 2007 dal governo del Professore nel sostenere la candidatura di Milano. Stretta di mano e taglio del nastro in coppia. «Nessuno nega a Prodi e al suo esecutivo la straordinaria importanza che ha avuto» riconosce Renzi, incassando uno di quei sorrisi prodiani che possono significare tutto e il loro contrario.