Corriere della Sera, 1 maggio 2015
Poca acqua nel Ticino. Così Expo e contadini rischiano di rimane a secco. Le promesse mancate e gli studi ignorati
Chi decide all’Ambiente: il ministro o i funzionari? È una domanda obbligatoria se si mettono a confronto la lettera al Corriere di Gianluca Galletti che prometteva una cosa e la decisione finale del ministero che ne fa un’altra. E sancisce, nella guerra fra regioni sull’uso dell’acqua del Ticino, la vittoria degli albergatori e la sconfitta del Parco naturale e degli agricolt ori.
Breve riassunto: il Ticino, che per portata d’acqua è inferiore solo al Po e alimenta sei centrali idroelettriche e un’agricoltura d’eccellenza di 7 mila aziende dedite soprattutto al riso, è il cuore dell’omonimo parco naturale che dal 1974 ha salvato dall’aggressione edilizia migliaia e migliaia di ettari di pianura padana.
Il tema è: l’acqua che scende dal Canton Ticino, dopo avere formato il Lago Maggiore va lasciata andare senza regole verso il Po nel quale il fiume si getta (via tutta allo scioglimento delle nevi e poi vada come vada in caso di estati secche) o va piuttosto regolamentata tenendo conto di eventuali siccità come quella che nel 2006 provocò danni pesantissimi?
Ovvio: va regolamentata. E così è dalla costruzione, settant’anni fa, della diga della Miorina. C’è anche un trattato firmato da Italia e Svizzera nel 1938 e rifinito nella fase finale della seconda guerra mondiale che stabilisce, come abbiamo scritto, che la diga deve garantire al lago un livello massimo delle acque fino a un metro e mezzo sopra lo zero idrometrico in inverno per poi scendere, superati i mesi più freddi e piovosi, a un metro. Fin qui, tutto chiaro.
Dicono gli agricoltori e i difensori del Parco, però, che in tanti decenni è cambiato il mondo. E che è assurdo lasciare che vada a mare tanta acqua che, in caso di stagioni di secca, potrebbe esser trattenuta dalla diga (che qualcuno vorrebbe raddoppiare: 220 milioni di appalti) e liberata a valle quando necessario. Come è accaduto, un po’ sottobanco, negli ultimissimi anni.
Ed è lì lo scontro. Gli albergatori del Lago Maggiore, in particolare della sponda piemontese, che lamentano già di avere spiagge piuttosto corte a disposizione dei turisti, invocano il rispetto dell’antico accordo italo-svizzero e dicono che a tenere il livello dell’acqua a un metro e mezzo anche d’estate quelle spiagge si ridurrebbero a una fettuccia. Scontata la risposta dei vertici del Parco e degli agricoltori: non è vero. Rissa politica e scontro davanti al Tar, dove il Parco invoca l’annullamento della decisione del governo di tornare al rispetto scrupoloso dell’antico accordo. Nonostante la stagione, come spiega il direttore Claudio Peja, possa essere secca come nel disastroso 2006 e aggravata dalla necessità di rifornire l’Expo, tutta centrata sui temi dell’acqua, dell’agricoltura, del cibo.
Fin qui, in sintesi, il tema. Al quale due settimane fa il Corriere dedicò una pagina che ironizzava, tra l’altro, sulle promesse del ministro dell’Ambiente Gianluca Galletti. Che, nel luglio 2014, rispondendo a un allarme di Giulia Maria Mozzoni Crespi, assicurava una soluzione in «tempi rapidi».
Punto sul vivo, Galletti mandava una nuova lettera al Corriere dove spiegava che «l’ultima cosa che un ministro dell’Ambiente può desiderare è il depauperamento dell’area del Ticino con il suo straordinario parco naturale e l’antica agricoltura d’eccellenza della zona» e giurava che i nove mesi d’attesa non erano «trascorsi invano». Quindi, dopo avere rivendicato una mediazione a quota 1,25, concludeva: «Oggi siamo alla conclusione dell’iter per la sperimentazione per l’innalzamento del livello del lago nei mesi estivi a +1,50 rispetto allo “0” idrometrico. Domani si svolgerà l’ultima conferenza di servizio, poi comunicheremo la decisione alla Svizzera...».
Il giorno dopo, ciccia. Nessuna decisione. Peggio: risatine dei funzionari sui «ministri che quando scrivono ai giornali scrivono sciocchezze». (Anzi, la parola sarebbe più colorita) Allora? Risposta del portavoce del ministro: «Solo un rinvio tecnico. Il 23 aprile si sblocca tutto. Sicuro. Se no, scrivete pure che il ministro non conta niente». (Anzi, la parola sarebbe di nuovo più colorita).
Adesso è deciso. Niente riserva d’acqua a quota 1,5 metri. Perché? Perché, spiegano al ministero, secondo i tecnici delle Infrastrutture «non ci sono elementi sufficienti per valutare la sicurezza della manovrabilità della diga a quota +1,50 in caso di piene del lago e del fiume. Insomma loro non si assumono la responsabilità del rischio idraulico». Ed essendo «tempi di rischio idrogeologico, frane, alluvioni e “bombe d’acqua”...».
Agricoltori e Parco non sono d’accordo. E citano uno studio «commissionato dal Consorzio del Ticino e a noi trasmesso dall’Autorità di Bacino con nota del 17 aprile 2015 dove a pagina 18 – Considerazioni conclusive – si legge che “con un livello di 1,50 m la manovra di abbattimento dovrebbe essere ultimata entro un limite stimabile in 54–78 ore dall’inizio dell’ evento”». Traduzione: fino a 2 metri, nessun rischio idraulico. La guerra, potete scommetterci, continua.