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 2015  aprile 29 Mercoledì calendario

Quando i giudici dovrebbero stare zitti. Da Mani pulite al pediatra suicida

No, non dovete smettere di indagare, forse dovete solo star zitti. Forse dovete piantarla, cioè, di rinfocolare polemiche inutili e di metterla ogni volta in termini semplicistici: come a dire che al mondo esista un solo modo di indagare e di procedere, il vostro. Un medico genovese si è suicidato perché il figlio era finito agli arresti per un’inchiesta della procura di Monza: e c’è il morto, c’è il suicidio, si sconfina nell’insondabile, c’è un ultimo biglietto che non dice neanche granché: «La magistratura miope a volte uccide». A parte che è vero, sono le parole di un disperato che sta per buttarsi da un ponte: a che serve commentare, se non a evidenziare che si è accusato il colpo? A che serve dichiarare a caldo che «dicono tutti così»? E a che serve dichiarare a freddo il giorno dopo – come ha fatto il capo della procura monzese – che «attaccare i magistrati ormai è diventato l’alibi di chi ha qualche altarino»? Che ce ne facciamo, di un alto togato che mette in alternativa secca che «i giudici facciano il proprio mestiere» oppure «liberi tutti», come a dire: prendere o lasciare? Fosse almeno una polemica nuova, beh, allora parleremmo di arroganza e di certa magistratura. Ma non è neanche così: di suicidi giudiziari ne abbiamo visti troppi. È debolezza. È cedimento. È incapacità di un saper tacere che dovrebbe rientrare tra i doveri più sensibili e solenni: solo così si evitano o minimizzano le strumentalizzazioni, solo così si evita che lo stolto getti il cadavere del suicida ai tuoi piedi, puntando il dito in un periodo in cui tutti puntano il dito su tutti. Anche perché la stampa, su queste cose, ci marcia: è prontissima ad attribuire un suicidio a precisi generi di causalità (tipo la crisi economica) facendo forzature immonde e dimenticando gli unici suicidi in sicuro aumento, in Italia, sono quelli in carcere. La stampa, come certi magistrati, è così: è pronta a incolpare o discolpare senza nessuna sfumatura. Prendete Mani pulite, visto che, tra una fiction e l’altra, è tornata di moda: dal 1992 al 1998 i suicidi “giudiziari” sparsi in giro per l’Italia furono 45, cifra tutt’altro che fisiologica: e ben 32 furono addensati dal 1992 al 1994, nel periodo in cui impazzava la carcerazione preventiva. Credete che la cosa fece in qualche modo riflettere? Era solo una gara a chi la sparava più grossa. Quando un dirigente politico di Lodi si uccise, a inizio inchiesta, la procura di Milano precisò che era «una delle tante persone ascoltate nell’ambito dell’inchiesta» e «non era inquisito». Poi però i giornali scrissero il contrario, perché c’era da tenere viva l’inchiesta e dire che sì, insomma, però il suicida era colpevole. Quando si sparò una fucilata il parlamentare Sergio Moroni, ricorderete, l’allora procuratore aggiunto milanese disse «c’è ancora qualcuno che si vergogna e si suicida», lasciando i cronisti esterrefatti. Quando ci furono i suicidi di Gabriele Cagliari e Raul Gardini, poi, il vicepresidente del Csm intervenne per dire «la custodia cautelare non si tocca» (anche se oggi i più convengono che in quel periodo se ne abusò) perché c’era da difendere una posizione politica: tanto che, secondo un sondaggio elaborato subito dopo i suicidi eccellenti, il 60 per cento degli italiani riteneva che l’uso della carcerazione andasse bene così. Siamo abituati a che tutto si tiene, anche un suicidio: può servire per dire che la magistratura è cattiva o può servire per dire che la magistratura aveva ragione. Un gioco stupido che avrebbe una soluzione: non giocare, non partecipare, non cedere, non prestarsi all’intervistina che prenderà le tue parole di magistrato e le stiracchierà sino a farne un titolo. C’è da tacere, cioè. C’è da esserne capaci.