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 2015  aprile 29 Mercoledì calendario

La Falciani, una decisione discutibile. Le ordinanze depositate sembrano dotare di ulteriori poteri giuridici l’amministrazione, affermano chiaramente che il fisco nel contrasto all’evasione può avvalersi di qualsiasi elemento con valore indiziario

La vicenda della lista Falciani, con ogni probabilità, almeno sotto il profilo processuale tributario, può considerarsi conclusa a favore dell’utilizzabilità delle informazioni acquisite dall’amministrazione, ancorché esse siano stato frutto, all’origine, di reati consumati all’estero.
Le due ordinanze depositate ieri dalla Corte di cassazione motivano ampiamente la decisione per certi versi, forse, abbastanza scontata. Se, come pare, i contribuenti italiani interessati alle liste si aggiravano intorno ai 7.000 – con la conseguenza che erano pendenti numerosi contenziosi – una decisione di segno opposto non solo avrebbe portato all’illegittimità delle pretese del fisco ma, con ogni probabilità, sarebbe stata anche “mal digerita” da chiunque, in modo onesto, puntualmente dichiara quanto guadagna e paga regolarmente le imposte senza aver alcun conto (non dichiarato) oltre confine.
L’idea di non poter contestare un’evasione sulla base di schede clienti che riportavano (in verità non sempre) il nominativo, l’importo e il conto non dichiarato dell’interessato (il tutto, quindi, in maniera abbastanza chiara ed evidente), solo perché all’origine queste informazioni erano state acquisite in modo non lecito, certamente è stridente con la comune e condivisibile volontà di contrastare in ogni modo l’evasione fiscale.
Le ordinanze depositate ieri sembrano farsi carico di dotare di ulteriori poteri (giuridici in questo caso) l’amministrazione: esse affermano chiaramente che il fisco nel contrasto all’evasione può avvalersi di qualsiasi elemento con valore indiziario, incontrando solo due limiti: la presenza di disposizioni di legge sull’inutilizzabilità ovvero la violazione di un diritto del contribuente.
Questo principio, condivisibile, non fosse altro per l’alta posta in gioco (il contrasto all’evasione fiscale), in realtà, però, pare non tener conto che le ripetute violazioni ai diritti dei contribuenti (previsti per legge) non hanno mai conseguenze importanti, proprio perché la stessa Corte ha sempre ritenuto assente nell’ordinamento tributario una norma specifica che sanzionasse con la nullità/inutilizzabilità il mancato rispetto di tali diritti. Basti pensare a quanti anni e quante pronunce di legittimità sono state necessarie per dare centralità al contraddittorio: dopo essere stato ritenuto fondamentale da ben due sentenze delle Sezioni Unite si è ancora in attesa dell’ennesima pronuncia – ancora delle Sezioni Unite – probabilmente per delimitare e circoscrivere principi già affermati che, se finalmente attuati, porterebbero alla nullità di vari atti impositivi e forse metterebbero in difficoltà l’operatività dell’amministrazione.
Le stesse ordinanze di ieri ricordano che non c’è lesione al diritto di difesa perché le liste sono semplici indizi; tuttavia, dopo poche righe, affrontando altra questione, si scopre che questo semplice indizio può da solo basare la pretesa fiscale.
In sostanza, le regole dovrebbero essere (preventivamente) certe e, se non rispettate, dovrebbero condurre alle stesse conseguenze sia per l’amministrazione sia per il contribuente. In caso contrario, il rischio è di creare, involontariamente, degli alibi a chi non volendole rispettare, continua a evadere.