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 2015  aprile 29 Mercoledì calendario

«Ci avrebbero rimandati al Senato e rischiavamo di finire nella palude. O facciamo passare la legge adesso o non passa più». Ecco perché Renzi non si è fidato e ha messo la fiducia

«La verità? Su un paio di emendamenti, come quello che prevedeva l’apparentamento dei partiti più piccoli al secondo turno, saremmo andati sotto». Alla fine della giornata più lunga del Pd, Matteo Renzi confida ai suoi – anche a quelli che avevano sperato fino all’ultimo in una soluzione diversa – che la scelta di mettere la fiducia, in fondo, è stata una decisione obbligata. «Ci avrebbero rimandati al Senato e rischiavamo di finire nella palude. O facciamo passare la legge adesso o non passa più».
Così, mettendo nel conto la rabbia delle opposizioni e le critiche interne, il premier ha scelto di fare a modo suo. Alla Renzi, appunto, a spallate. Anche per presentarsi alle regionali avendo in mano un risultato importante, a conferma dello stile decisionista del personaggio. «Quando Napolitano mi ha conferito l’incarico di governo mi ha chiesto esplicitamente di portare a compimento la legge elettorale. Cercando il massimo coinvolgimento. Poi Forza Italia ha cambiato idea perché abbiamo eletto Mattarella, ma io voglio rispettare quell’impegno preso al Quirinale». Ora alla presidenza della Repubblica c’è Sergio Mattarella, un presidente che sembra interpretare il suo ruolo in maniera diversa rispetto al predecessore. Sulla legge elettorale non intende intervenire, nonostante in molti – grillini e forzisti – provino a tirarlo per la giacca. Il Quirinale non si metterà in mezzo nel rapporto tra parlamento e governo, soprattutto in mancanza di una violazione formale delle regole che la stessa presidente della Camera ha escluso. Così come Mattarella non intende mettere bocca nei rapporti interni ai partito di maggioranza.
In ogni caso il premier è convinto di non aver ecceduto mettendo la fiducia. Anzi, quasi lo rivendica come un merito, un’assunzione di responsabilità. «Se mi devo dimettere me lo diranno a scrutinio palese, mettendoci la faccia come faccio io. Che vogliono di più? Ho detto chiaramente che, se la legge cambia, io me ne vado a casa. Sulla legge elettorale, una riforma che serve al paese e che tutto il mondo si aspetta da noi, i miei predecessori si sono impantanati, da Prodi a Letta. Io non voglio fare la loro fine, non mi rassegno».
Quanto al merito, ormai sembra passato in secondo piano. Renzi rivendica comunque di aver concesso molto anche sul piano “tecnico”. «Sono 15 mesi che ne parliamo, che trattiamo, abbiamo fatto mille ritocchi, ma quale testo blindato! Molti di questi cambiamenti li abbiamo fatti perché ce li ha chiesti la minoranza del Pd». Per questo, secondo Renzi, la richiesta di modificare ulteriormente l’Italicum è strumentale, esula dal merito della riforma. E riguarda piuttosto i rapporti di forza dentro il Pd. Come se il Congresso non fosse mai finito e proseguisse anche in Parlamento. «Ma il Congresso è stato fatto un anno fa – protesta l’interessato – e l’ho vinto io. E nonostante questo in parlamento la legge l’abbiamo cambiata secondo le esigenze della minoranza, non le mie. Ora invocano le regole... ma la prima regola è che le regole di convivenza nel partito si rispettano: si è votano in direzione, si è votato nel gruppo e questi fanno come pare a loro».
Dunque ora cosa accadrà? Possibile che vengano espulsi Bersani ed Epifani, due ex segretari, un ex capogruppo come Speranza, due antagonisti di Renzi alle primarie come Cuperlo e Civati? Ed è possibile, al contrario, che non accada nulla anche se una pattuglia consistente di deputati del Pd si rifiuta di votare la fiducia al governo presieduto dal segretario del partito? Domande a cui il premier, per ora, preferisce non rispondere.
A palazzo Chigi prevalgono ragionamenti prudenti. «È già successo altre volte che qualcuno non abbia votato la fiducia. Io sono per non prendere provvedimenti, vedremo». Dipenderà, naturalmente, anche dalla consistenza dello smottamento. Il segretario in ogni caso non crede alla scissione. «Mi pare complicato farla sulla legge elettorale, come la spiegano?». Intanto la fiducia sembra aver prodotto effetti caotici soprattutto in Area riformista, conseguenze che vengono monitorate molto attentamente al Nazareno. «Questa decisione provoca spaccature tra di loro, non tra di noi». Il pensiero di Renzi va a Cesare Damiano, Dario Ginefra, Matteo Mauri e tanti altri che si stanno smarcando dalla linea dura di D’Attorre, Speranza e Bersani. Anche i ministri Martina e Orlando, pur con tutti i distinguo, alla fine si sono schierati con Renzi. Il Guardasigilli, durante il Consiglio dei ministri che ieri pomeriggio ha deciso la fiducia, ha cercato di portare avanti un ultimo tentativo per evitare la rottura. «Se dalla minoranza arriva una garanzia di compattezza sul voto, possiamo rinunciarci». Ma poco dopo, di fronte al tweet di Speranza che annunciava il suo no, anche Orlando ha alzato le mani.
Dopo il voto finale (probabilmente lunedì) sull’Italicum, sarà la volta della riforma costituzionale. «Prima dell’estate portiamo a casa anche quella», promette Renzi. Che conferma l’apertura a possibili modifiche: «La discussione è aperta e vera. Soprattutto sui contrappesi al governo e alla maggioranza. Su questo discutiamo: l’importante è che non si parli di uno scambio con l’Italicum».