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 2015  aprile 28 Martedì calendario

Il made in Italy a tavola parla sempre più straniero. Se a fare il gorgonzola, la mozzarella di bufala, e il chianti sono i migranti: in cinque anni gli occupati stranieri del settore agroalimentare sono infatti aumentati del 62,7% e gli imprenditori del 14,8%. Eccolo uno dei segreti che si cela dietro i padiglioni di Expo 2015

Cos’hanno in comune gorgonzola e mozzarella di bufala? Semplice: parlano sempre più straniero. Così come prosecco e chianti. Sì, perché le eccellenze del “made in Italy” dipendono sempre più dal lavoro dei migranti: in cinque anni gli occupati stranieri del settore agroalimentare sono infatti aumentati del 62,7% e gli imprenditori del 14,8%. Eccolo uno dei segreti che si cela dietro i padiglioni di Expo 2015.
L’Esposizione di Milano metterà sotto i riflettori mondiali il cibo italiano. Italiano certo, ma non solo. In molte produzioni di qualità cresce infatti il peso dell’occupazione e dell’imprenditoria straniera. A fotografarlo è una ricerca della Fondazione Leone Moressa. I lavoratori immigrati nel settore agroalimentare sono ben 166mila, cioè il 7,2% del totale degli occupati stranieri. Di questi, il 70% è impiegato nell’agricoltura, il restante 30% nelle industrie alimentari. Per capire meglio: mentre mediamente i lavoratori stranieri sono il 10,3% del totale degli occupati, nel settore agroalimentare rappresentano ben il 13,2% e raggiungono il 14,2% nel comparto agricolo. Non solo. Che questo settore sia un traino per l’occupazione degli immigrati lo prova anche la loro crescita negli ultimi 5 anni (+62,7%), mentre per gli italiani si assiste a un calo del 3%. Rimane però un dislivello di qualifiche. Gli stranieri infatti sono maggiormente impiegati in professioni di basso livello (il 64,4%): braccianti e addetti alla manutenzione del verde. La maggioranza degli italiani (55,4%) trova invece impiego in attività qualificate, come operai agricoli specializzati.
Non mancano casi particolari, che escono dalle statistiche. In Abruzzo, per esempio, il 90 per cento dei pastori è macedone. Senza di loro, dimentichiamoci il filetto sulle nostre tavole. In Val d’Aosta, a fare la fontina sono rimasti quasi solo gli immigrati. È la fatica dell’alpeggio: portare il bestiame sui pascoli in quota durante l’estate. Ebbene, nei trecento alpeggi della regione gli italiani sono meno del 10%. E ancora: in Emilia Romagna, tra gli addetti al Parmigiano Reggiano, uno su tre è indiano. Gli immigrati sono decisivi anche nella produzione del prosciutto di Parma, della mozzarella di bufala a Caserta, del Brunello di Montalcino e dei vini doc della provincia di Cuneo. E la pesca? La vecchia kasbah di Mazara del Vallo è popolata da pescatori tunisini. Se si fermano loro, addio fritture di paranza.
Ma è nella capacità di fare impresa che gli immigrati fanno davvero la differenza. Gli imprenditori stranieri nel settore agroalimentare sono oltre 22.500: 18mila fanno affari con l’agricoltura, 4.500 nell’industria alimentare. Sono loro a dare vitalità al settore: tra il 2009 e il 2014 sono aumentati del 14,8%, mentre gli imprenditori italiani sono crollati del 10,9%. «Osservando alcune delle principali produzioni Dop nazionali – scrivono i ricercatori della Moressa – si può osservare come la componente straniera abbia contribuito negli anni della crisi al mantenimento del tessuto produttivo, registrando aumenti in alcuni casi superiori al 20%, contro una diminuzione della componente autoctona».
Qualche esempio: nelle aree del prosecco veneto gli imprenditori stranieri sono aumentati del 12,3%. Nel gorgonzola ancor di più: gli immigrati sono cresciuti del 15,9%, di fronte a un calo del 9,5% degli italiani. E ancora: nell’area del grana padano (che comprende ben 27 province) gli imprenditori stranieri sono aumentati del 22%. Anche la zona del Chianti, tra Siena e Firenze, registra un picco del 24,4%. Perfino in Sardegna, area in cui l’immigrazione è spesso meno visibile, gli imprenditori stranieri nelle zone del pecorino sono cresciuti del 23,7%. Insomma, «sebbene non si raggiungano i numeri di altri distretti manifatturieri, come il tessile – scrivono dalla Moressa – una parte crescente dell’eccellenza italiana agroalimentare è dovuto al contributo economico degli immigrati. I dati fanno vedere il made in Italy sotto una prospettiva nuova, sempre più multiculturale».
«I lavoratori stranieri contribuiscono in modo strutturale e determinante all’economia agricola del Paese – conferma Roberto Moncalvo, presidente di Coldiretti – rappresentano infatti una componente indispensabile per garantire i primati del made in Italy alimentare nel mondo». Non mancano i lati oscuri, però. «Sul territorio – aggiunge Moncalvo – va assicurata la legalità per combattere inquietanti fenomeni malavitosi che umiliano gli uomini e gettano un’ombra su un settore che invece ha scelto la strada dell’attenzione alla sicurezza alimentare. Per un chilo di arance prodotto nella piana di Rosarno vengono pagati meno di 7 centesimi al chilo: del tutto insufficienti a coprire i costi di produzione e di raccolta. È questa situazione ad alimentare la catena dello sfruttamento che colpisce agricoltori e lavoratori».