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 2015  aprile 28 Martedì calendario

Quei due milioni di bambini al gelo che rischiano l’ipotermia. Manca l’acqua, manca il cibo e anche l’energia. I racconti dei volontari che cercano di salvare i piccoli e proteggere le donne: «Perché in situazioni di questo tipo le violenze aumentano»

A Kathmandu, al Centro Paani – che in nepalese vuol dire acqua – la mattina del 25 aprile, pochi minuti prima di mezzogiorno, fortunatamente non c’era nessuno, perché di sabato è chiuso. Né gli educatori, né i 35-40 bambini della vicina comunità di Jadibuti, che in quelle stanze imparano le prime nozioni scolastiche, e giocano, e si divertono. Ma il miracolo è stato un altro: quell’edifico ha retto anche alla spaventosa forza del terremoto e anzi, ha già riaperto i battenti, diventando un punto di riferimento sicuro, convertendosi velocemente in un centro di «prima risposta e assistenza», almeno sulla direttrice che porta dal cuore della Capitale all’aeroporto.
Lo gestisce da anni l’Associazione dei Bambini, una ong milanese con 31 sedi sparse per il mondo, in Nepal dal 2006. Nell’inferno di Kathmandu ci sono in questo momento a far fronte all’emergenza Fulvia Clerici – country coordinator la chiamano – e il suo vice, il nepalese Tulasa Kharel. Proprio da Fulvia, che ha solo 26 anni e viene da Varese, arrivano i primi racconti: «Non ho mai sentito un terremoto così forte, ho pensato che stessero bombardando..., ma adesso preoccupiamoci dei bambini, qui manca tutto!».
FREDDO E PIOGGIA
Sì, manca tutto, sulla strada verso l’aeroporto interrotta da un’enorme voragine e in tutto il Nepal. Una paese di 30 milioni d’abitanti e giovanissimo, dove si calcola che quattro su dieci siano bambini. Dove Save the children stima che in queste ore almeno due milioni di piccoli stiano aspettando aiuto. Stiano dormendo per strada, al freddo e sotto la pioggia, con il rischio sempre presente e sempre concreto di un’epidemia. Lo conferma Roger Hodgson che per l’organizzazione si trova già sul posto: «I bambini hanno bisogno di abiti e di cibo, stiamo trasportando duemila kit per neonati nelle aree di Bhaktapur e Sindhupalchok».
Il problema, infatti, non è tanto Kathmandu, quanto le zone rurali, ancora impossibili da raggiungere. L’Unicef conferma che la situazione «è più complessa a nord ovest, dove i bambini messi in salvo sono ora intrappolati al freddo e al gelo. Le prossime ore saranno decisive». Decisive per evitare una catastrofe.
Un dramma nel dramma sono le adozioni a distanza. Ne riferisce Action aid, un’organizzazione internazionale specializzata, che da vent’anni, ormai, opera anche in Italia. Ebbene, la portavoce Sofia Maroudia stima che siano almeno quattromila le famiglia italiane in questo momento in attesa di notizie: «Ci scrivono e ci chiamano – racconta Maroudia -, ma i bambini adottati dalle famiglie italiane si trovano nelle campagne e purtroppo da lì non sono ancora arrivate notizie. Non si riesce a comunicare, e il governo ha ordinato di non uscire dalla Capitale». Action aid ha in questo momento in Nepal cento gruppo di volontari, un migliaio di persone. Sono impegnati a soccorrere i bambini, ma anche le donne: «Perché in situazioni di questo tipo le violenze aumentano. Faremo il possibile per proteggerle».
«A CACCIA DI BATTERIE»
I racconti sembrano tutti uguali e tutti terribili, ma più terribile degli altri resta ancora quello di Fulvia Clerici, la capo missione dell’Assocazione Amici dei Bambini che è riuscita a far arrivare a Milano quattro, cinque brevissimi file audio: «Ne ho discusso con Tulasa, abbiamo concordato che qui c’è bisogno anche di ingegneri che ci aiutino a capire la portata effettiva dei danni. Ma non arrivano, forse è un problema politico. E l’elettricità, poi, vedo tutti a caccia di una batteria, anche i bambini».
Il terremoto ha ricordato al mondo anche che il Nepal è uno dei pochi paesi dove l’utero in affitto è possibile. Israele ha infatti organizzato il rientro in patria di una ventina di coppie con bambini nati da madri nepalesi. Si è mosso poi da Gerusalemme il procuratore generale Yehuda Weistein per concedere una deroga che permetterà di portare al sicuro in anche le madri nepalese che non hanno partorito, in modo che possano farlo laggiù in condizioni di sicurezza.
Chissà quando torneranno a scuola questi bambini del Nepal, chissà quando torneranno a giocare. E soprattutto a farsi enormi scorpacciate di torte al cioccolato, come si usava al centro Paani a ogni compleanno. Ma succederà, prima o poi dovrà succedere.