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 2015  aprile 28 Martedì calendario

Arrestano il figlio e lui si suicida. Succede a Genova. Un pediatra rinomato non sopporta la terribile umiliazione di vedere il figlio, incensurato, ai domiciliari per un traffico di farmaci, e si toglie la vita. Nel biglietto d’addio: «La magistratura miope a volte uccide»

Corriere della Sera
 Il figlio farmacista era agli arresti domiciliari dall’inizio di aprile per un reato pesante, aver trafficato in medicinali antitumorali rubati e potenzialmente pericolosi. Francesco Menetto, 65 anni, medico pediatra con studio in un elegante quartiere borghese nel centro di Genova, non ha mai creduto alle accuse avanzate dalla Procura di Monza ma non ha retto a quella che il figlio stesso definisce «una terribile umiliazione». Nella notte di domenica dopo aver cenato con il figlio e la nuora nella villa di famiglia è uscito dicendo di dover fare una visita urgente a un piccolo paziente. Invece insieme con la moglie è arrivato in auto fino al ponte monumentale che attraversa la via principale, via XX Settembre, e si è lanciato nel vuoto. Era l’una e mezza di notte. Poco prima aveva inviato un sms al figlio Marco, invitandolo a guardare in un cassetto di casa. Marco vedrà il messaggio a tragedia ormai compiuta e troverà nel cassetto una lettera di scuse e alcune disposizioni testamentarie. Anche la madre voleva uccidersi ma ha avuto un momento di esitazione, si è allontanata per alcuni minuti. Poi è tornata sul ponte dove l’hanno vista gli agenti avvertiti da alcuni passanti che un corpo era a terra senza vita. Quando ha scorto gli agenti ha scavalcato la balaustra: «L’abbiamo letteralmente presa per i capelli, mentre era nel vuoto» scrivono i poliziotti nella relazione. Ora è ricoverata in stato confusionale. Nell’auto del dottore gli agenti hanno trovato un biglietto: «La magistratura miope a volte uccide». 
Il procuratore capo di Monza Corrado Carnevali ha dichiarato che «ormai dicono tutti così. Non c’è altro da commentare». Il viceministro della Giustizia Enrico Costa le ha definite «parole fuori luogo». Ieri mattina la Procura di Monza («sono umanamente colpita» ha detto il pm Franca Macchia) ha dato parere favorevole alla scarcerazione di Marco Menetto, l’istanza era stata presentata dall’avvocato difensore Umberto Pruzzo. Il gip ha firmato l’ordinanza. Ieri il farmacista è tornato un uomo libero ma disperato: «Mio padre era un uomo buono, onesto, non ha mai preso neanche una multa. Era un medico per passione, viveva per il suo lavoro e la famiglia. Quello che è accaduto a me l’ha stroncato, si è sentito umiliato. Non mi dava colpe per quanto mi era successo, io con questa vicenda non c’entro nulla. Lui non ha retto a questa bufera. Non ho mai sospettato che potesse arrivare a questo. Non me l’ha fatto capire». 
Il farmacista trentasettenne era stato arrestato insieme alla moglie, farmacista anch’essa, ma il Tribunale del Riesame di Milano aveva già rimesso in libertà la donna per «mancanza dei gravi indizi». L’indagine che ha portato a 19 arresti in diverse regioni, condotta dai Nas di Milano, ruota attorno a un traffico di medicinali costosi (anche 10 mila euro a confezione), in particolare antitumorali che venivano rubati e poi affidati a un «riciclatore» per fornirli di una nuova veste commerciale (con l’aiuto anche di farmacisti), per essere spediti in ospedali in Germania, Olanda, Bulgaria e Montenegro. L’indagine, scattata nel 2012, era rimasta ferma quasi tre anni per l’avvicendarsi dei pm titolari.
Erika Dellacasa

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la Repubblica

Il dottore con la cravatta di Gatto Silvestro non ha retto l’onta di quella che riteneva un’ingiustizia. Si è lanciato dal ponte Monumentale, nel pieno centro di Genova e a pochi metri dal suo vecchio studio, prostrato e turbato dall’arresto del figlio, un farmacista finito ai domiciliari con l’accusa di aver commercializzato medicinali rubati.
Francesco Menetto, 65 anni, uno dei pediatri più noti del capoluogo ligure, che ha curato centinaia di bambini spostandosi al volante della sua Smart e indossando cravatte con i personaggi dei cartoni animati, prima di uccidersi ha lasciato alcuni scritti al figlio. E su una lettera compare una terribile accusa: «La magistratura miope talvolta uccide».
Una frase che poche ore dopo ha originato una replica altrettanto scioccante, quella del procuratore capo di Monza Corrado Carnevali: «Ormai dicono tutti così. Non c’è altro da commentare».
Parole che hanno a loro volta hanno suscitato lo sdegno del viceministro della Giustizia, Enrico Costa: «Di fronte a questo tragico gesto che mi ha profondamente turbato, spero che le parole riportate come pronunciate dal Procuratore non siano state riportate in modo corretto, perché diversamente sarebbero parole fuori luogo».
Con Menetto, l’altra notte stava per lanciarsi dal ponte che affaccia sulla strada principale di Genova, via XX Settembre, anche la moglie. La donna, in stato confusionale, dopo aver visto il marito buttarsi, è stata però trattenuta dai poliziotti di una volante chiamati dall’inquilino di un palazzo. Due anni fa, un’altra figlia della coppia si era uccisa lanciandosi da un ponte.
Marco Menetto, che ieri mattina dopo il suicidio del padre ha ottenuto attraverso l’avvocato Umberto Pruzzo la revoca dei domiciliari, ha saputo alle quattro del mattino dalla polizia cosa era accaduto. «È un dramma – ha detto – che non potevo neppure immaginare. Io sono più razionale anche nell’affrontare una vicenda del genere, mio padre invece non ha retto. Non credo che la magistratura sia responsabile, ma la nostra vicenda è emblematica di quanto certi provvedimenti vengano presi forse senza le dovute riflessioni. Senza pensare che si sta colpendo una persona incensurata. Non si può spiegare solo con l’ingiustizia il gesto di mio padre, ma lui era davvero sconsolato».
E poi conclude: «Mio padre curava i bambini, non ha fatto altro nella sua vita. Le accuse pesavano sull’onore della nostra famiglia. Abbiamo una sensibilità diversa da un comune delinquente».
L’inchiesta che ha coinvolto Marco Menetto è quella della procura di Monza che, il 2 di aprile, aveva fatto registrare 19 arresti ad opera dei carabinieri del Nas. Al centro dell’indagine un traffico di farmaci rubati – anche degli antitumorali – reimmessi in circolazione in un mercato parallelo.
A Genova cinque persone erano finite agli arresti domiciliari. Tre dipendenti di una ditta farmaceutica, e poi Marco Menetto e la moglie Valentina Drago, titolari della farmacia San Giacomo che vendeva anche all’ingrosso.
Per la donna, il Tribunale del Riesame di Milano aveva deciso che non sussistevano i gravi indizi di colpevolezza e aveva annullato l’ordinanza di custodia subito dopo l’interrogatorio di garanzia. Lo stesso era accaduto per un altro arrestato, Matteo Gavini.
Menetto si è sempre difeso sostenendo la sua buona fede. La sua attività, legale, era quella dell’importazione parallela di farmaci di marca che all’estero costano meno. Per ogni partita, i numeri di serie vengono verificati con la banca dati del Ministero della Sanità per controllare che non appartengano a lotti rubati. Il passaggio sarebbe stato fatto, dicono gli indagati, e la risposta sarebbe stata negativa.
Il farmacista ha raccontato alla polizia l’ultimo incontro con il padre: «Sono venuti lui e mia mamma a cena a casa mia ( le famiglie abitano in una villa divisa in due appartamenti, ndr ) abbiamo guardato la televisione e poi hanno detto che uscivano perché mio papà aveva un visita urgente». Verso l’una e mezza il pediatra ha mandato un sms al figlio che però stava dormendo. «Apri il cassetto del mobile, troverai una busta. È importante». Dentro c’era un biglietto di scuse, indicazioni per un testamento, contanti e l’accusa ai magistrati.
Giuseppe Filetto e Marco Preve