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 2015  aprile 28 Martedì calendario

Gigliola Mancinelli, l’anestesista del 118 che un anno fa salvò uno speleologo tedesco, Oskar Piazza il soccorritore in elicottero, Marco Pojer il cuoco che cucinò anche per i terremotati emiliani e Renzo Benedetti, l’arredatore che viveva la montagna in modo totale, aveva scalato otto vette sopra gli 8mila metri. Ecco chi sono i quattro i italiani che hanno perso la vita sull’Everest

Quattro morti accertati, quaranta persone che ancora mancano all’appello. Si aggrava il bilancio delle vittime italiane del terremoto in Nepal.
Hanno perso la vita travolti dalle slavine causate dal terremoto due tecnici dell’elisoccorso, Oskar Piazza e Gigliola Mancinelli, e due membri della Società degli alpinisti tridentini, Renzo Benedetti e Marco Pojer. Si trovavano tutti nel Parco di Langtang, che si estende circa 130 chilometri a nord della capitale Kathmandu verso il confine con il Tibet, ma in due gruppi diversi.
«Ho sentito un boato dietro di me e poi ho visto una nube che scendeva spinta da un vento spaventoso. Mi sono messa a correre, ma sono stata investita da una pioggia di pietre e neve. Renzo e Marco avevano fatto una deviazione per portare delle medicine a un’anziana nepalese che conoscevano e sono stati presi in pieno insieme alle guide nepalesi», hanno raccontato Iolanda Mattevi, trentina di 52 anni, e Attilio Dantone, 59 anni, di Canazei, che erano con Benedetti e Pojer, ma si sono salvati. Hanno passato tre giorni in un campo per sfollati, adesso si trovano nell’ospedale di Kathmandu, stremati: Dantone al momento della valanga è riuscito a ripararsi sotto una roccia ed è illeso, Mattevi ha un avambraccio e un dito fratturato e un’infezione dovuta alle ferite non curate.
Sono nella capitale anche i due superstiti dell’altra spedizione, il genovese Giovanni Pizzorni, che ha riportato alcune fratture, e il marchigiano Giuseppe Antonini: «Ci risulta che siano arrivati stasera a Kathmandu» dice il fratello Roberto Antonini. Sono stati loro a dare la notizia della morte dei compagni di viaggio Gigliola Mancinelli e Oskar Piazza. «Erano nell’albergo di Langtang che è sopravvissuto al terremoto, ma è stato investito da una valanga. Li ha sepolti lì» dice la compagna di Piazza Luisa Zappini. Ieri intanto sono arrivati a Kathmandu i tecnici inviati dal ministero degli Esteri. Coordineranno le operazioni di soccorso e le ricerca dei connazionali ancora irreperibili.
Gigliola Mancinelli
L’anestesista del 118 che salvò in una grotta uno speleologo tedesco
«Aveva insistito molto con me per farsi cambiare il turno di lavoro: doveva andare in Nepal». Germano Rocchi, responsabile del servizio di elisoccorso degli ospedali riuniti delle Marche adesso pensa che se due settimane fa la sua risposta fosse stata negativa Gigliola Mancinelli, 50 anni, due figli di 13 e 15, non sarebbe partita. Era medico anestesista al cardiologico Lancisi e al 118 di Ancona, Gigliola, ed esperta speleologa. «Il suo lavoro coincideva con il suo hobby, non ho mai conosciuto una persona così», ricorda ancora Rocchi. «Ho partecipato con lei a missioni mediche umanitarie in Cina e in Africa – racconta Christopher Munch, primario del reparto di anestesia e rianimazione cardiochirurgica dove Gigliola lavorava —, era preparatissima e molto affidabile, tanto da avere la responsabilità del soccorso speleologico di tutta l’Italia centrale». «Sensibile, capace, gentile, generosa», si commuove al telefono Paola Riccio, presidente del Soccorso alpino e speleologico marchigiano. Questa era la sua terza missione in Nepal. Del resto, Gigliola era nota per aver partecipato a diverse imprese. Un anno fa era andata in Germania per il recupero dello speleologo tedesco rimasto intrappolato a mille metri di profondità nella grotta Riesending-Schachthöhle.
Oskar Piazza
Il soccorritore in elicottero «Sognava di trasferirsi in quelle montagne»
Sognava di trasferirsi a vivere in Nepal Oskar Piazza, 55 anni. «Ci andava per ricaricarsi, amava la dimensione di spiritualità di quel popolo e delle sue montagne» ricorda Adriano Alimonta, presidente del Corpo nazionale del soccorso alpino trentino. Originario di Mori, in provincia di Trento, Piazza avrebbe dovuto aprire dei nuovi percorsi per il torrentismo nel parco di Langtang. Era un ottimo alpinista (aveva scalato più volte l’Himalaya), ma soprattutto un punto di riferimento, anche all’estero, per l’elisoccorso, che aveva contribuito a fondare in Italia. Tante volte si era calato in volo per con l’imbragatura per salvare persone in difficoltà. «Non ricordo nessun fatto particolare che mi ha spinto a diventare un soccorritore – spiegava sul sito dell’azienda di attrezzatura alpinistica che lo sponsorizzava —: è semplicemente un bisogno che sento, analogo al desiderio di salire un Ottomila». Con lui sarebbe dovuta partire anche la compagna Luisa Zappini, che dirige la centrale unica di emergenza in Trentino. All’ultimo momento ha dovuto rinunciare per un grave problema di salute della madre. Ieri rispondeva al telefono, la voce rotta ma lucida, per spiegare che si stava organizzando con gli amici e colleghi dell’elisoccorso per andare in Nepal: «Non posso lasciarlo lì».
Marco Pojer
Il cuoco e volontario che aveva cucinato ai terremotati dell’Emilia
Era appassionato di trekking Marco Pojer, 53 anni, di Grumes (Trento). Cuoco nell’asilo del paese, era un gran lavoratore: durante la settimana nella cucina della suola materna, nel weekend e nella stagione estiva anche negli alberghi della zona. Si era preso una «vacanza straordinaria» per poter tornare in Nepal e pur di partire aveva addirittura chiesto un mese di aspettativa. Ci era già stato l’anno scorso, sempre per un meso intero e con Renzo Benedetti, il compagno di viaggi più esperto. Anche Pojer faceva parte della Società degli alpinisti tridentini (Sat), era nel direttivo dell’associazione. Cucinava per tutti, con la sua attrezzatura da cuoco, ogni volta che la Sat locale organizzava qualcosa. Tutti lo ricordano per il suo impegno nel volontariato: ogni anno dava una mano all’associazione locale «Stella bianca» e metteva in tavola 300 coperti: i soldi raccolti servivano a finanziare ospedali in Togo; era attivo nell’associazione Progetto Prijedor per la ex Jugoslavia. E sapeva cosa significa quanto la terra trema e porta via tutto: nel 2012 era stato a Medolla, in provincia di Modena, per dare un aiuto, anche in quel caso dietro ai fornelli, alla popolazione emiliana colpita dal terremoto. A Grumes viveva vicino alla madre vedova e alla sorella, ma spesso rimaneva a Trento, dalla compagna Patrizia.
Renzo Benedetti
L’arredatore che faceva collezione di «ottomila»
Amava il Nepal, Renzo Benedetti: le sue vette altissime, ma anche la sua gente. Sabato è morto mentre andava a portare medicine a un’anziana signora conosciuta in una delle spedizioni precedenti. «Renzo viveva la montagna in modo totale, non era solo un grandissimo alpinista che aveva scalato gli ottomila, ma si fermava tra la gente, la aiutava, per lui andare in montagna era anche un’occasione di fare solidarietà per il Nepal» dice di lui, che era «un amico», il presidente della Sat del Trentino, Franco Giacomoni. Sessant’anni compiuti da poco, Benedetti viveva a Segonzano (Trento) con la moglie Sandra e il figlio Marco, di 22 anni. Di professione faceva l’arredatore, ma la sua più grande passione era la montagna: era socio della Società degli alpinisti tridentini da 32 anni e dirigeva la scuola di scialpinismo «Franco Dezulian». Aveva scalato otto vette al di sopra degli 8.000 metri, da Manaslu, al Makalu, Dhaulagiri, Cho Oyu, Gasherbrum II, Everest, il K2 e lo Shisha Pangma. In Nepal, questa volta, era andato per un trekking considerato relativamente facile: si trovava su un sentiero a 3.500 metri d’altezza, il Langtang Trek, nei pressi di uno dei villaggi più devastati dal terremoto. È stato investito in pieno dai detriti con il compagno di viaggio Marco Pojer, lo sherpa Sangha, 26 anni, il cuoco Prem, 48, e l’aiuto cuoco Dawa. I familiari fino all’ultimo avevano sperato che anche loro ce l’avessero fatta. Sotto choc il figlio Marco: «Non posso, non ce la faccio».