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 2015  aprile 27 Lunedì calendario

Viaggio dentro un monastero di clausura, dopo le polemiche tv con la Littizzetto. Su una collina di Pignataro Maggiore, in provincia di Caserta, vivono, lavorano e pregano le sorelle povere di Santa Chiara

Requiem per una monaca. Dinanzi alla bara di una suora, nell’estate di un anno fa, disse monsignore Arturo Aiello, una delle voci più ascoltate e carismatiche dei vescovi italiani: “Perché? Perché una vita così nascosta e così sciupata? È uno sciupio la vita consacrata, ancor più quella monastica: uno sperpero. Dunque è uno sperpero? Sì. Perché è uno sperpero il sangue di Cristo, la sua vita, la sua divinità ignorata per tanti anni nella solitudine e nel nascondimento di Nazareth. Perché è uno sperpero un Dio crocifisso. Perché è uno sperpero un Dio che muore senza che gli angeli intervengano.
Questo è lo scandalo della Croce di cui la vita consacrata diviene sacramento”.
I colori del panorama
Sul filo, seppur celeste, del paradosso e della provocazione, monsignore Aiello affronta di petto la domanda più diffusa tra i non credenti a proposito della vita di clausura nel terzo millennio. “Perché questo sperpero?”. In Italia i monasteri femminili claustrali sono meno di cinquecento (468 fino a qualche anno fa) per un totale di circa 7mila monache. La media per ogni convento è di dieci, quindici suore che vivono in comunità. Monsignore Aiello è il vescovo di Teano e Calvi, tra le diocesi più piccole della Campania, in provincia di Caserta.
Lì, nella piana tra Teano e Capua, in cima a una collina, c’è il monastero di Santa Croce. Il paesino si chiama Pignataro Maggiore. La vita contemplativa è fatta di vette, da cui si può guardare il verde delle vallate o l’azzurro del mare. Da qui si ammirano entrambi i colori. Quando il cielo è trasparente, lo sguardo abbraccia, in fondo all’orizzonte, un arco che va da Capri a Ventotene.
A Santa Croce pregano e lavorano le sorelle povere di santa Chiara d’Assisi, che a ventitré anni imitò Francesco facendo voti di povertà assoluta. Anche in questo monastero c’è Internet, ma l’eco del clamore suscitato dalle clarisse durante la visita del papa a Napoli viene sommessamente giudicato “inopportuno”. Troppo rumore, forse. E in genere le monache non fanno rumore, nemmeno quando muoiono.
La ragazza che andava in bici
A Pignataro, una delle monache più giovani è suor Chiara Francesca. Ha 36 anni. Ne aveva dieci di meno quando è stata ordinata. Arriva dalla penisola sorrentina e lì la ricordano come “la ragazza in bici che si è fatta monaca”. Racconta: “Da piccola osservavo un frate della vicina chiesa dei Cappuccini con barba bianca, vecchi sandali, piedi nudi e un grande sorriso. Pensai che per essere felice anche con il freddo, doveva avere un segreto. Sono stata un’adolescente inquieta e a 18 anni scoppiò la ribellione, rivendicavo la mia indipendenza, a casa era una guerra continua, mi avventurai in una storia con un ragazzo conosciuto in discoteca. Quando finì iniziai a riflettere tanto e capii che il mio desiderio più grande era diventare cristiana. Poi arrivò la vocazione. La prima volta che entrai in un monastero e vidi le grate avrei voluto scappare via, poi rimasi incantata dagli occhi luminosi delle sorelle e dalla loro luminosità, un misto di forza e dolcezza, di ruvida radicalità e di letizia. Sperimentai ribellione, senso di fuga e irresistibile fascino. Mi affidai al Padre e mi consegnai allo Sposo”. Per tutte le monache, lo Sposo è Gesù.
Dall’alba al tramonto
Se l’assoluto è Dio e Dio è silenzio e nella quotidianità mondana di oggi si fugge dal silenzio e dall’assoluto, allora le monache di clausura vanno nella direzione contraria. Il silenzio, la passione estrema e radicale per l’assoluto sono le vere grate. Ancora monsignor Aiello: “Romanticamente noi pensiamo i monasteri come luoghi di riposo; in realtà sono luoghi di combattimento, ed esprimono, nella vita della Chiesa e per il mondo, quel combattimento che dovrebbe segnare anche le nostre vite di persone che, battezzate, non coniugano delitto e solennità”. Fu il profeta Isaia a scagliarsi contro la fede ipocrita del popolo di Sòdoma: “Non posso sopportare delitto e solennità”. Al monastero di Santa Croce la giornata inizia all’alba, alle cinque e mezzo di mattina. Tre ore dopo, la colazione. Preghiera e lavoro.
C’è da lavare, da cucinare. C’è la cura del giardino e dell’orto. Il pranzo è alle 12 e 15. Meditazione per un’ora, dalle 14 alle 15, e poi il vespro alle 17 e 30. Si va a letto prima delle dieci di sera, alle 21 e 40. Sulla modernità eterna della clausura, le monache di Pignataro non parlano mai di ripiego o convenienza. Solo di scelta. Dicono: “La nostra è una scelta, non un’ultima spiaggia; non siamo reduci da fallimenti amorosi, donne che si rinchiudono per non avere altre delusioni; non siamo troppo brutte da non poter avere una famiglia; non siamo delle rifugiate da una società che non ci piace”. Nel combattimento dei monasteri la passione non è ignorata, ma coltivata. Si discernono i sentimenti dalle emozioni. Si tenta di entrare in se stessi, senza recitare o indossare maschere. Si accoglie e si ascolta chi si è perso.
La regola è l’essenziale. Ha scritto la teologa eremita Adriana Zarri: “Qualcuno dice che mi sono ‘ritirata’ in un eremo; e io puntualmente reagisco. Un eremo non è un guscio di lumaca, e io non mi ci sono rinchiusa; ho solo scelto di vivere la fraternità in solitudine”. La clausura non è eremitaggio, ma tante solitudini messe in comune. La loro preghiera, per chi crede in Dio, è quella decisiva, che tiene in piedi il mondo.
Innamoramenti
Al monastero di Santa Croce la madre abbadessa è africana e viene dal Ruanda. Suor Chiara Damiana ha 50 anni e nello scorso autunno ha festeggiato il venticinquesimo compleanno della sua professione religiosa. Quando si entra in convento, le suore cambiano nome perché nascono a una nuova vita. Suor Noemi si chiamava Rita ed è di Napoli. Ha 53 anni. Racconta: “Sono cresciuta in una famiglia unita ma disinteressata alla Chiesa. A 18 anni iniziai a essere corteggiata, mi fidanzai con Francesco la cui bellezza non mi lasciava indifferente, ma dentro di me qualcosa mi impediva di essere felice. Lo lasciai dopo un anno e iniziai a frequentare la parrocchia. Una sera, a una festa, una suorina anziana predisse davanti a mia madre che sarei stata consacrata. Non mi era mai passato per la mente, ma a casa successe un putiferio tremendo. Mi sorvegliavano, mi impedivano di uscire da sola tanto che mi ammalai. Il primo pellegrinaggio a Lourdes e la preghiera per la malattia di mio padre fecero affiorare il bisogno di donarmi al Signore. Mia madre non ha mai accettato la mia scelta, l’ultimo tentativo per convincere lei e mio fratello maggiore sfociò in una tragedia da cui uscii viva per miracolo. Lasciai a mia cognata una lettera, dissi ‘Eccomi’ e andai via”.
“Chiedimi tutto ma suora no!”
Una nuova vita presuppone una nuova famiglia. Per Suor Chiara Rosaria, sorella povera di Pignataro, la vocazione è stata una lotta con se stessa e i suoi sogni di ragazzina: “L’adolescenza fu una lotta serrata con Dio. Partecipavo agli incontri della Gioventù Francescana, culla della mia vocazione, facevo volontariato ma dicevo tra me e me ‘chiedimi tutto, ma suora no!’, volevo una grande famiglia. Quando a mia madre vennero diagnosticati pochi mesi di vita iniziai la mia scuola di fede tra ospedali e sofferenza. Ma non avrei mai pensato alla clausura, per il mio temperamento mi sembrava una follia. Poi mi abbandonai all’amore di Dio e sorprendentemente si è realizzato anche il sogno della grande famiglia, quella delle sorelle povere di santa Chiara, un mistero di sponsalità e maternità nascosta agli occhi del mondo ma preziosa e feconda per la Chiesa e per tanti fratelli”. I monasteri sono anche operosi laboratori. Si cuce, si ricama, si dipinge, si fa artigianato, si scrive, si zappa, si semina, si raccoglie.
La Provvidenza basta fino a un certo punto, per sopravvivere alle leggi del mondo. Negli ultimi anni si è poi sviluppata, inarrestabile, la moda dei laici di andare in convento per un weekend di benessere spirituale. Una sorta di resort per l’anima, non per il corpo. A volte, al posto della fatica di vivere c’è la paura della morte. La badessa del monastero di Viboldone, vicino a Milano, ha rivelato in un libro recente, di due anni fa, Mentre vi guardo, un episodio che riguarda un importante manager della finanza. L’uomo capitò al monastero da turista, per vedere e fotografare gli affreschi di scuola giottesca, tra cui il Giudizio universale. Ci ritornò che aveva un cancro terminale e la prospettiva cambiò, di fronte al Cristo giudice dipinto a metà del quattordicesimo secolo. Alla badessa, madre Ignazia Angelini, confessò: “Io questo voglio lasciare detto per sempre: sotto lo sguardo di questo Volto per me si è sciolta la paura della morte. Non ho più paura di morire, ho compreso che è un passaggio che fa parte della condizione umana, è un passaggio che mi condurrà dinnanzi al Volto della misericordia”. E la misericordia di Dio fa bruciare anche, d’amore o di disperazione. Un fuoco che non si consuma, come il roveto di Mosè nell’Antico Testamento.
Dal Canada alla collina di Santa Croce
In tutto il mondo, le monache di clausura sono circa sessantamila. Al monastero di Pignataro una delle sorelle più anziane è canadese. Suor Chiara Maddalena, nata Claire, ha 87 anni: “Quando manifestai al parroco il desiderio di entrare nelle clarisse non lo condivise e mi indirizzò mio malgrado verso le suore della carità di Ottawa per essere ‘più utile alla Chiesa e alla società’. Poi mi trasferii in Italia, alla Gregoriana di Roma per studiare teologia. Quando visitai Assisi capii che il mio posto era sulle orme di santa Chiara. Nonostante l’iniziale opposizione della madre generale venni inviata a santa Maria degli Angeli. Prima di giungere a Pignataro, ho fatto parte del gruppo di Sorelle scelte per la fondazione voluta da Giovanni Paolo II”. Le sorelle povere di santa Chiara sono arrivate a Pignataro a metà degli anni ottanta. Il monastero era vuoto e abbandonato da decenni. L’erezione canonica avvenne nel 1993 e le fondatrici erano state inviate da Napoli. Quello delle clarisse è solo uno degli ordini femminili. A loro volta, le clarisse si distinguono in vario modo. In Italia ci sono più di novantamila suore, di cui settemila di clausura. Nella vulgata mondana, vengono considerate sepolte vive. In realtà c’è più vita dietro le grate che fuori. Nonostante Internet.
(ha collaborato Iole Filosa)