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 2015  aprile 27 Lunedì calendario

Grecia, quel cavallo di Troia per il Quantitative easing. Se Atene non ridà i soldi all’Fmi è a rischio il fondo salva Stati. Con pericolosi effetti sulle banche centrali e sui bund...

I negoziati con la Grecia sono in stallo e il governo sta dilapidando le ultime riserve di liquidità per i pagamenti in scadenza al Fondo monetario internazionale (Fmi). Il rischio di non pagare stipendi e pensioni è stato superato, per ora, depredando la cassa delle utility pubbliche: prima scambiandola con titoli di Stato (Repo) e poi requisendola per legge, in modo da evitare di doverla restituire alla scadenza dei Repo. Questo escamotage ha tenuto a galla il Paese, ma il tempo è quasi esaurito.
Il limite alle banche greche imposto dalla Banca centrale europea sull’acquisto di altri titoli di Stato, la fuga di depositi (altri 3 miliardi a marzo) e un impegnativo pagamento all’Fmi di 700 milioni a inizio maggio potrebbero costringere, infatti, il governo a pagare le prossime pensioni e gli stipendi tramite «cambiali» (cosiddette Owe yoU). Queste cambiali finirebbero per circolare come una seconda moneta parallela all’euro e, a detta della Bce, ufficializzerebbero la Grexit, l’uscita della Grecia dall’euro.
Il fattore tempo
L’unica alternativa potrebbe essere il rifiuto di pagare la rata del prestito dell’Fmi, che però comporterebbe la dichiarazione di default anche sul debito detenuto dal fondo salva Stati (Efsf): in totale 160 miliardi di euro. Il capitale del Fondo, diversamente dall’altro Fondo europeo, l’Esm, non è fatto di cassa ma di garanzie dei Paesi membri. Le banche centrali stanno fornendo ulteriori garanzie attraverso la complessa (quanto inusuale) architettura del quantitative easing acquistando titoli Efsf per circa 5 miliardi al mese. Insomma in dieci mesi di Qe il default della Grecia sarebbe contabilizzato pro quota dalle banche centrali nazionali (nell’eurosistema), ma garantito dai Paesi membri con potenziali impatti sul contribuente europeo, a meno di interventi specifici. Interventi che potrebbero essere anche molto ravvicinati nel tempo, dato che non si intravvedono dieci mesi all’orizzonte.
Limitate ripercussioni sono da attendersi dai 30 miliardi di debito greco della Bce – che potrebbe ricapitalizzarsi senza problemi, o non ricapitalizzarsi affatto – e dal debito «occulto» del saldo Target2, cioè i 100 miliardi di debito della banca centrale greca verso l’eurosistema.
Questa cifra deriva dal regolamento delle transazioni tra i soggetti privati appartenenti al circuito dei pagamenti dell’eurozona; non è dunque un debito esigibile e non ha neanche una data di scadenza. Pertanto, anche nel caso estremo in cui la Grecia abbandonasse l’euro e il saldo contabile si trasformasse in un debito «reale», sarebbe assimilabile a una perpetuity, cioè un’obbligazione in cui è dovuto solo il pagamento degli interessi e non la restituzione del capitale. Si tratterebbe dunque di una cifra modesta (circa 60 milioni l’anno) che, nelle circostanze richiamate, sarebbe l’ultimo dei problemi per il governo greco.
Deriva
Quali che siano le decisioni, il consensus è che il Qe ci proteggerà da effetti di «contagio». Gli acquisti di titoli sarebbero infatti in grado di frenare le pressioni speculative sullo spread e di impedire massicce scommesse contro la tenuta dell’euro. Tuttavia una deriva della Grecia verso il default o una moneta parallela farebbe riemergere in ogni caso il cosiddetto «convertibility risk» – cioè il rischio di una potenziale ridenominazione dei titoli di Stato in una nuova valuta a seguito dell’uscita di un Paese dall’euro – con successiva svalutazione (o rivalutazione). Questo rischio, nonostante la domanda «artificiale» di titoli del Qe, non sparirà; se non potrà manifestarsi in un più alto spread sui titoli dei Paesi periferici soggetti a una potenziale svalutazione, si scaricherà sui titoli dei Paesi core.
Tutti gli operatori vorranno cioè acquistare Bund perché questo li proteggerebbe dal rischio di ridenominazione (infatti, al peggio, la Germania tornerebbe al nuovo marco rivalutato e i titoli aumenterebbero di valore).
Attualmente i rendimenti dei Bund sono negativi fino alla scadenza di nove anni, e fino al 4° anno sono sotto la soglia di acquistabilità da parte della Bce (-0,2%): questo già pone dei seri dubbi sulla praticabilità del Qe della Bundesbank (oltre 200 miliardi), come evidenziato da Moody’s in un recente studio. Se si dovesse verificare una corsa indiscriminata al Bund per proteggersi dal rischio di rottura dell’euro, la Bundesbank non avrebbe abbastanza titoli da comprare e il Qe potrebbe andare in panne proprio nel momento in cui serve di più come ombrello dal contagio di Grexit.